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I grandi del calcio russo: Fatih Tekke, il “Sultano di Russia”

Ritorna la grande rubrica che ci permette di conoscere i calciatori che hanno fatto o che faranno la storia del calcio russo. Oggi è la volta di un utopico giocatore, sia dal punto di vista calcistico che umano, il turco Fatih Tekke.

Raccontare le gesta del turco Fatih Tekke attraverso le parole è praticamente impossibile. Per provare a farlo bisogna quantomeno ricorrere a un linguaggio dal doppio livello di significato (quello di San Juan de la Cruz, per intenderci), anche se sarà impossibile per l’uditore (o, in questo caso, lettore) apprendere totalmente la grandezza di questo personaggio. Bisogna essere vissuti nella sua epoca, e aver visto e goduto della sua maestosità.

Nato quasi 36 anni fa a Surmene, vicino Trabzon, va a pellegrinare in varie parti della Turchia, estasiando le genti di tutte le regioni dell’Anatolia. Rapinatore di razza e allo stesso tempo giocatore dalla qualità tecnica straordinaria; ma non solo, anche grande uomo e importante leader dello spogliatoio. Se proprio non si vuole credere a queste lodi, basta guardare le cifre: prima di approdare allo Zenit segna, nell’ex impero Ottomano, 124 gol in 278 incontri. Fatih Tekke vede la porta, è cinico, freddo, talentuoso.

A San Pietroburgo si rivela un crack. Nonostante Advocaat creda poco in lui (il tecnico olandese lo mette fuori rosa salvo poi dover ricorrere alla sua grandezza e richiamarlo) il “Sultano di Russia” mantiene una media gol davvero invidiabile. Mette lo zampino nel primo gol della sua squadra nel 2007, anno conclusosi poi col primo scudetto. Ha un ruolo importante anche nella cavalcata in Europa League: realizza il gol decisivo nell’unica vittoria dello Zenit nel gruppo a 5 (col Larissa); si ripete poi in quel di Manchester, quando durante la finale della competizione genera l’azione del vantaggio dei suoi e fornisce l’assist a Zyryanov per il definitivo 2-0.

I tifosi lo amano, e ne hanno ben donde: è un personaggio carismatico, che pensa ai tifosi prima che al proprio tornaconto, e fuori dal campo è un’ icona per ogni bimbo che dà i primi calci a un pallone.

L’arrivo di Spalletti però coincide con il suo addio. Il tecnico di Certaldo non gradisce i suoi comportamenti “poco professionali” e prende l’infelice decisione di cacciarlo: se ne va al Rubin, dove dopo pochi minuti dopo il debutto con la nuova maglia fornisce un prezioso assist a Bukharov con la Lokomotiv. Un infortunio però lo blocca per il resto della stagione e il barbuto fenomeno decide di proseguire la carriera in Turchia. Va al Besiktas, ma Schuster lo allontana. E’ la volta dell’Ankaragucu, dove segna un folle gol di controbalzo. Completa il suo viaggio di conversione all’Orduspor, club nel quale decide di smettere col calcio giocato.

Questa è, in poche righe, la storia di un giocatore che non mi pento di definire colossale. Qualsiasi ex compagno di squadra lo ama, qualsiasi tifoso di qualsiasi squadra lo ama, chiunque lo ama. “Avessi le sue qualità giocherei nel Real Madrid”. Questa frase di Mateja Kezman racchiude al meglio la potenza del turco e, sicuramente, continuare a parlarne non farebbe altro che svalutare il personaggio.

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