La storia di Agostino Di Bartolomei non può essere raccontata, soprattutto a Roma, senza suscitare emozioni grosse ed evocare quel sottofondo di amarezza e malinconia per la sua tragica fine. Al Capitano del secondo scudetto giallorosso, quello del 1982-’83,e alla sua vicenda umana dedicano questo libro Giovanni Bianconi (autore noto soprattutto per libri su altri argomenti, come il sequestro Moro e le vicende della Banda della Magliana) ed Andrea Salerno.
Il punto di partenza coincide con la data del suicidio: 30 maggio 1994, esattamente 10 anni dopo quel 30 maggio 1984, ovvero la sera di Roma – Liverpool, quando sotto il cielo spettatore dell’Olimpico, si consumò ai calci di rigore l’epilogo di una generazione giallorossa.
Quella sera, Agostino Di Bartolomei, da capitano e da rigorista della Roma, non si tirò indietro dalla responsabilità di calciare un rigore, mentre altri, come il Divino Falcao, non ressero il peso del momento e si dileguarono. Quella sera, qualcosa finì, a Roma, nella Roma e dentro Agostino Di Bartolomei.
Cresciuto a Roma, nel quartiere di Tor Marancia, tra tornei di quartiere all’oratorio San Filippo Neri (storico campetto della Garbatella, quello della degregoriana “Leva calcistica del ’68”, che molti vorrebbero dedicata proprio ad Agostino), dopo una breve gavetta, giocò e vinse nella “sua” Roma, prima da centrocampista poi reimpostato da Nils Liedholm come “libero da i piedi buoni”, ruolo in cui si impose grazie ai lanci precisi e alla capacità di comandare la difesa, spazzando via le remore legate alla sua presunta lentezza. Dotato di un tiro potente e preciso, trasformò molte punizioni e molti rigori, sospinto dal coro della Curva Sud, che prima di ogni sua esecuzione, non mancava di intonare il coro “Oh Agostino – Ago Ago Ago Agostino…”.
Poi, dopo la maledetta notte di Coppa dei Campioni, il passaggio al Milan, seguendo il maestro Liedholm e un travagliato ritorno da avversario nella sua Roma, con una brutta lite in campo con l’ex compagno Ciccio Graziani e la reazione ostile dei tifosi, di quei suoi tifosi che tanto avevano cantato per lui, quando Agostino esultò dopo aver segnato un gol, per sfogare chissà quanta e quale rabbia, cresciuta nel suo animo introverso.
Infine il passaggio alla Salernitana, in serie C e l’impresa di trascinare la squadra in serie B, un palcoscenico atteso da tempo da una tifoseria calda e numerosa. E il ritiro, con la speranza, vana, di ritrovare un ruolo come allenatore (recentemente è stato pubblicato postumo un suo “Manuale del calcio”) o come dirigente.
Il resto è cronaca, finale di partita. Biglietti di addio cestinati e ritrovati, dubbi senza risposta.
Il libro non risolve le ipotesi sui moventi di Agostino Di Bartolomei, ma certamente contribuisce delineare una figura epocale, nella Roma calcistica di fine anni ’70 e primi anni ‘80.
Di passaggio, segnaliamo anche un bel film, “L’ uomo in più” (titolo forse ispirato all’avveniristico modulo con quattro attaccanti dell’allenatore Ezio Glerean), tra i primi film del regista Paolo Sorrentino, liberamente ispirato alla figura di Agostino Di Bartolomei, in contrapposizione alla figura (altrettanto liberamente ispirata) di Franco Califano. Due aspetti caratteriali antitetici, due discese agli inferi, due esiti diversi. E un altro modo per cercare di capire cosa è successo all’uomo, quando finì la parabola del calciatore.
“L’ ultima partita. Vittoria e sconfitta di Agostino Di Bartolomei” di G. Bianconi e A.Salerno, Fandango Edizioni.