Ritratto di Signore

“Tutto cambia perché nulla cambi”, diceva il Conte di Salina nel Gattopardo. Ma se quest’adagio riproduce il rumore di fondo proveniente dalla penisola, calcistica e non, una proposta di rinnovamento sta conquistando l’attenzione del pubblico italiano con eleganza e competenza.

Vincenzo Montella – per molti, con una punta di affetto istintivo, Vincenzino – è stato un formidabile attaccante, non troppo tempo fa. Dotato di classe cristallina e di un innato puntamento satellitare, costantemente indirizzato in porta, l’ “Aeroplanino” ha dribblato, impallinato, sforbiciato e riversato caterve di gol alle spalle dei portieri avversari, regalando abbondanti gioie agli occhi dei suoi tifosi. A Roma, il momento più esaltante del suo volo da calciatore, la conquista dello scudetto e uno storico poker servito alla Lazio nel derby (per mesi in ogni mercato rionale, si trovava sempre un banco che esponeva la copertina del Corriere, celebrativa dell’impresa).
Chi lo ricorda festeggiare al Circo Massimo coi compagni, conserva l’immagine di un ragazzo esuberante e scamiciato, provvisto di quello stesso argento vivo che esprimeva sul campo, ma anche in panchina, come successe quando litigò con Capello, tirandogli addosso una bottiglietta d’acqua dopo averlo ricoperto di insulti. In quegli anni di rinascita giallorossa, poi, ai giocatori tutto era generosamente concesso dai tifosi innamorati e non era difficile perderci anche un po’ la testa. Di “Vincenzino” si ricorda un ritiro della patente, per una corsa notturna con Candela sul raccordo.
Infine, la sciapa presenza ai mondiali nippocoreani e un declino fisico che ha spento lentamente e inesorabilmente quel talento. Voci di depressione e problemi familiari hanno accompagnato il suo ritiro dal calcio giocato.
Ma Vincenzino Montella era tutt’altro che finito. Non ancora quarantenne, Montella ha subito conquistato l’attenzione anche nella veste di Mister. Prima l’occasione con le giovanili della Roma, poi il subentro a Ranieri, la positiva esperienza a Catania e oggi la consacrazione sulla panchina della Fiorentina.
Il Montella allenatore però è apparso subito diverso, anche come uomo, probabilmente dopo un lungo lavoro svolto innanzitutto su se stesso. Mai sopra le righe, misurato nelle espressioni e nella gestualità, perennemente concentrato sugli obiettivi, carismatico e atarassico al tempo stesso – in questo forse può ricordare il “Barone” Liedholm – ma soprattutto con le idee chiare in fatto di gioco, propositivo e, se serve, anche rischioso – sì, anche in questo può ricordare l’allenatore svedese. Ma quali sono i pregi tattici dell’allenatore Montella?
Ora, se guardiamo alle semifinali di Champions di questi giorni, troviamo quattro squadre impostate con la difesa a quattro e capaci di attaccare avanzando più uomini sulla linea offensiva. Ma se rivolgiamo l’attenzione alle espressioni più alte del nostro calcio attuale, la Juventus ma anche l’Italia di Prandelli, ci rendiamo conto invece di come il nostrano ricorso alla difesa a tre, piuttosto che liberare maggiori spinte offensive, mantenga traccia di una filosofia sparagnina e attenta, che attacca sì sulle fasce, ma partendo molto da dietro, con la perenne attesa del cross a lungo cercato e la fiducia riposta negli inserimenti fulminei dei centrocampisti. Il che funziona, almeno finchè non ci si misuri con chi è tecnicamente superiore o non ci si ritrovi in condizione di recuperare il risultato.
Con una filosofia improntata al possesso palla e una predilezione per i giocatori molto tecnici, Montella invece ha saputo costruire una Fiorentina diversa, continentale e divertente, invertendo la polarità di una tifoseria reduce da due anni di esasperazione calcistica e calo del desiderio pallonaro.
Ma all’applicazione accademica della corrente calcistica più attuale, Montella ha saputo aggiungere qualcosa di suo, per andare oltre il fascino della novità. Con lui, si stanno esaltando quei giocatori ultimamente latitanti sui nostri campi o spesso confinati nelle riserve ricavate sulle corsie esterne: i giocatori capaci di saltare l’uomo. Se infatti, anche nella stagione precedente il colombiano Cuadrado era risultato il giocatore con la maggior percentuale di dribbling riusciti, quest’anno la vocazione è stata confermata, con ricadute spesso devastanti sulle difese avversarie. E chi ci ricorda, quell’Adem Ljajic fino a ieri ragazzino impunito e oggi autore di scatti brucianti, dribbling irrefrenabili e tiri sotto al sette? Sì, proprio lui, Vincenzo Montella, da giocatore. Uno che forse dai suoi allenatori, primo tra tutti Capello, avrebbe voluto essere maggiormente coccolato, e oggi non ripete lo stesso errore con i suoi giocatori.
E se fosse proprio questo Signore, il futuro del calcio italiano?

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Paolo Chichierchia