Serie A 1971-1972. La Juventus si fregia del tricolore, non il primo né l’ultimo della sua storia, grazie a 17 vittorie, 9 pareggi e solo 4 sconfitte. L’anno successivo, l’undici bianconero si conferma la squadra più forte, grazie a 18 doppie vu, 9 pareggi e 3 ko. E via discorrendo, in un campionato che non usurava la resistenza dei giocatori come quello attuale.
Erano altri tempi, vero. Erano altri tempi perché erano tutti italiani, anche i presidenti avevano una figurina nell’album Panini, su 16 squadre ne retrocedevano 3. Tre su sedici, se scritto in lettere fa più effetto: il 18% dei club di Serie A l’anno successivo sarebbe sceso al piano di sotto. E non è che la B dovesse essere chissà quale spettacolo, però si rischiava.
Ora così non è, nell’epoca dei diritti televisivi, dei milioni da custodire, dei tifosi disegnati sugli spalti nel campionato cadetto, ad evitare l’effetto vuoto, che è effetto tristezza. Così non è perché la nostra massima serie, seguendo il trend internazionale (ma non era da esterofili fare come fanno altrove? Lo chiamo patriottismo selettivo), ha pian piano allargato le proprie maglie, snellendo le fasi selettive. Prima a 18 squadre, meta realistica nel calcio moderno. Poi 20: un po’ troppe, ma abbiamo avuto anche la B a 24 squadre. V-E-N-T-I-Q-U-A-T-T-R-O: non un refuso in fase di scrittura, ma una bizzarra pagina di storia.
E oggi? Ci avevano venduto un campionato incerto sino all’ultimo, il campionato più bello del mondo. Sì, perché nonostante, come il nostro Francesco Mariani opportunamente mette in evidenza, la qualità della giocata sia in palese calo, ci dicevano che da noi i distacchi sono brevi, c’è equilibrio, in provincia è dura per tutti.
Probabile, però la Juventus è da tanto che il tricolore ce l’ha di nuovo cucito sul petto: l’aritmetica non glielo conferma ancora, ma alzi la mano chi da un mese e mezzo a questa parte pensa seriamente a un Napoli serio ostacolo sulla via torinese allo scudetto. Lazio, Fiorentina e compagnia cantante deviate, calate, sgonfiate: tutto qui? Il Milan aveva iniziato con medie da retrocessione, s’è ritrovato con un attacco atomico (diamo a Cesare quel che è di Cesare: a godere sarà soprattutto Prandelli Cesare), ma ha scalato troppo facilmente la classifica, ad uno sguardo franco.
Campionato a 20 squadre, 38 giornate, 38 partite, 38 telecamere della pay tv che entrano negli spogliatoi a presentarci come i calciatori s’allacciano gli scarpini. Chi scrive a 4 di questi turni avrebbe rinunciato e rinuncerebbe volentieri, per avere uno smalto migliore nelle coppe continentali. O per ritrovare una Coppa Italia decente, che non regali la finale con pochi turni, che non separi andata e ritorno di semifinale di un mese e mezzo, come l’anno passato.
Una bella Domenica per Albinoleffe-Lazio di Coppa Italia, vuoi mettere? Il calcio che s’umanizza, che torna della gente e fra la gente. Chi s’abbona rinuncerà tranquillamente a 4 partite su 38, per avere un po’ di qualità in più, o tornare a parlare alla gente. Per selezionare all’ingresso chi in Serie A ci deve stare.