Siamo davvero così sorpresi delle sconfitte in Europa?

Chi ha visto Milan-Napoli di ieri sera avrà capito subito, leggendo il titolo, di cosa sto per parlare in questo editoriale. La partita a San Siro tra la seconda e la terza forza del campionato è stata di una noia mortale, e sono buono nella descrizione.

Queste due squadre che spettacolo hanno offerto al pubblico pagante, che sia allo stadio o davanti ad un televisore? E più in generale, la Serie A che immagine ha dato al resto del mondo in una serata del genere?
Pessimo. Non ci sono altre parole per descriverlo.

Sono giorni che tra giornali e programmi televisivi assistiamo a processi per stabilire il vero colpevole della crisi che sta attanagliando il calcio italiano. Dibattiti che, nella quasi totalità dei casi, vedono come unico imputato il “dio denaro”, tanto caro alle altri grandi d’Europa e tanto lontano dalle nostre in questo periodo.
Fermo restando che la teoria secondo la quale le grandi d’Europa spendano più delle nostre non sia del tutto vera (come descritto dal nostro Antonio Cunazza proprio ieri con un articolo su Juventus e Bayern Monaco), una squadra come il Borussia Dortmund (squadra che, forse e per personale opinione, nell’ultimo biennio ha espresso il miglior gioco sotto il punto di vista tecnico-tattico) non appare tra i club più spendaccioni d’Europa, eppure con una gestione oculata del bilancio tra stipendi, cessioni, stadio e settore giovanile è riuscita a costruire una formazione giovane, forte ed economicamente sostenibile.

Ora, prendete una qualsiasi partita dei gialloneri di Dortmund e paragonatela a Milan-Napoli di ieri sera. Secondo voi la differenza la fanno i nomi in campo o ciò che vedete con i vostri occhi? Lasciando perdere confronti tra i Lewandowski e i Cavani, perché si parla di due fenomeni assoluti e non è quello il succo del discorso, proviamo a paragonare un Abate o un Maggio con uno Schmelzer, di professione terzino. Avete per caso visto un cross di prima da parte di uno dei due terzini italiani? No. Il tedesco, che non è nemmeno tra i più forti in patria, non fa altro per tutte le gare. Su e giù per la fascia di competenza e appena gli arriva il pallone lo crossa (bene) all’interno dell’area. I nostri, invece, arrivano sulla trequarti, la stoppano, se la spostano e poi, forse, crossano con conseguente riposizionamento della difesa, rallentamento del gioco e diminuzione delle occasioni da rete. E ho solamente paragonato i terzini, potrei farlo per ogni ruolo tra gli undici in campo.

Di cosa vogliamo parlare? Dei soldi che mancano per compare i Fabregas di turno o degli stadi di proprietà che uniti ad una fiscalità spagnola (ah, la tremenda fiscalità spagnola!) più agevole permettono alle big europee di fare la voce più grossa delle nostre nel mercato? O vogliamo discutere almeno per una volta della totale inadeguatezza tecnica delle nostre formazioni, della lentezza con cui sviluppano il loro gioco e della prevedibilità dei loro passaggi?

Per avere squadre forti ci vogliono giocatori forti e per avere giocatori forti ci vogliono i soldi, dite voi?
Io non credo sia sempre così, l’esempio del Manchester City è sotto gli occhi di tutti.
Ricominciamo ad insegnare calcio, tattica e abnegazione al lavoro (il metodo di allenamento di Jurgen Klopp, allenatore del Borussia Dortmund, meriterebbe un articolo a parte) ai vari El Shaarawy, Balotelli, Insigne, Destro, Verratti (che ha fatto benissimo a emigrare) e compagnia cantante, ricominciamo a vedere “il calcio” come l’obiettivo e non come il mezzo con cui raggiungere i propri scopi e forse faremo il primo passo avanti nella rincorsa all’Europa.
Europa che una volta, e nemmeno tanto tempo fa, era di nostra proprietà.

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Francesco Mariani