Elogio del gufo

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del gufo. Puntuale, eccocelo davanti, simpatico quanto una visita dal dentista. Intendiamoci: gufare si può (e a volte si deve, per dovere di coerenza, verso sé stessi soprattutto), ma tutti i discorsi collaterali danno una noia sconvolgente.

Con ordine, cercando per una volta di affrontare la materia in modo serio, senza moralismi. Gufare si può, dicevo: in un mondo dove schierarsi viene naturale, assistere ad un evento sportivo è anche partecipazione emotiva. Certo, c’è chi è capace di non parteggiare per nessuno, ma esistono persone che anche a teatro, se non sapessero la trama, tiferebbero per qualcuno.

Il tifo contro – espressione strana, perché tifare presuppone un legame affettivo nei confronti di una squadra, uno schieramento – è caratteristica di molti. Poco credibile l’idea che Giovedì sera i tifosi del Sunderland non simpatizzassero Benfica, o che mezza Italia calcistica sia diventata baverese per una sera. In verità, le scuole di pensiero vigenti dicono tutto e il contrario di tutto: tutte le opinioni sono legittime, purché tengano conto dello spirito con cui la gente il calcio lo vive e lo respira.

Il ranking!, grida qualcuno. L’onore nazionale!, fa eco un altro. Ma pare un po’ una forzatura pretendere che chi, da tifoso di questa o quell’altra strada, da anni vive una (sana) rivalità sportiva, d’improvviso viva una serata da neutrale, senza augurare il male degli avversari di sempre. Male in senso calcistico, sia chiaro: è uno sport che di mali ne ha già troppi, meglio non esasperare gli animi.

Sostanzialmente, il gufo fa parte del sistema calcio, del sistema Champions League in particolare. Le repliche sono poi le stesse, da sempre: appelli ai Mercoledì in ferie della squadra rivale, l’accusa di rosicare, il richiamo al bene comune del ranking (bene comune che esiste, ma tanto il tifo non fa punteggio: conta il campo). Il discorso ovviamente cambia per gli addetti ai lavori, sulla cui imparzialità in molti fanno sincero affidamento.

Chi scrive, da molto tempo, sostiene le dimostrazioni di sincerità, nello sport soprattutto: impossibile che un virtussino non tifasse Maccabi nel 2004, sarebbe stato falso, ipocrita, o comunque poco sincero. Certo, l’elogio va anche a chi vive tutto con distacco e pensa solo alla propria squadra (ma è poi vero?), però il bello del calcio resta che è emotivamente coinvolgente, eccitante, a volte esasperante.

Evviva la gufata, quando è sincera e non rancorosa.

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Matteo Portoghese