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Quando non trovi la via del gol, tutto diventa più difficile se sei un attaccante. Quando provi a buttarla dentro, ti sbatti, eccedendo a volte anche con l’egoismo, ma la palla proprio no, non vuole entrare, allora sì, inizi a farti delle domande. Domande, ovviamente. a cui non riesci a dare delle risposte. La situazione di Osvaldo alla Roma è più o meno questa: lui, un attaccante dalla grande grinta ma dalla personalità particolare, si sente sotto giudizio; lui, un ragazzo ancora un po’ immaturo sotto il profilo calcistico, nonostante la sua presenza, il suo aspetto, possano far intendere tutt’altro, vive giorni decisamente poco sereni.

Alla Roma, ricorderete, ci è arrivato dopo tanti gol all’Espanyol, e dopo sporadiche apparizioni in Italia (Lecce, Fiorentina e Bologna) in cui non ha lasciato il segno. Giunge in giallorosso nel 2011 e sembra poter carburare, con Luis Enrique si ambienta, con Zeman – indiscusso maestro del gioco offensivo – pare esplodere. Poi, all’improvviso, la luce che si spegne. A causa, probabilmente, anche a un cambio in panchina che non gli ha giovato, perché Andreazzoli gioca con una sola vera punta e gli preferisce Totti (ha i suoi eccellenti motivi per farlo, diciamolo chiaro). Lui accusa il colpo e si smarrisce: dov’è finito Osvaldo? Dov’è mister venti gol in un anno in Spagna, che fine ha fatto l’attaccante capace di siglare un gol meraviglioso (annullato ingiustamente) in rovesciata col Lecce l’anno scorso, a pallonetto a San Siro quest’anno, e tante altre belle reti dimostrando, perché no, uno spiccato senso della posizione, un acceso fiuto del gol, una buona visione di gioco e un’ottima dote atletica?

Chi lo sa. Sarebbe semplice rispondere, ma dove sia Osvaldo, adesso, soprattutto mentalmente, non è dato saperlo. Il punto di svolta, quello che sembra avergli dato un colpo forte sul groppone, lo ricorderete: il rigore “rubato” a Totti a Marassi, in Sampdoria-Roma. Ecco: quel rigore è l’emblema della personalità osvaldiana degli ultimi tempi: ambiziosa (voleva segnare per mostrare una dedica alla fidanzata), egoista (calciò un rigore palesemente non suo), presuntuosa, e anche un po’… debole. Perché di quel penalty ricorderete anche lo stile con cui lo calciò, tipicamente balotelliano, e sapete che nel calcio, copiare un modo di fare, o lo fai perché sai farlo, o perché vuoi arrivare a farlo, un giorno. Ricorderete poi il battibecco con i tifosi a fine partita, segno di nervi piuttosto tesi. E starete leggendo in queste ore molte voci sul suo conto, vere o presunte ancora non si sa, che lo vorrebbero verso l’Inghilterra. Via da Roma, dunque: una città sicuramente ambiziosa, che per storia e costituzione non lascia spazio a errori, soprattutto se ripetuti, e procurati da un’insensata perseveranza. Nulla è certo ovviamente, ma di sicuro, se Osvaldo veramente dovesse partire, avrebbero perso in tre: lui, la società e i tifosi. Già, anche i tifosi, perché nonostante siano caldi, passionali e sempre presenti, spesso non consentono – giustamente? ingiustamente? A voi la parola – ai loro beniamini di ragionare, giocare, vivere, con quella tranquillità che potrebbe, invece, essere determinante, e che consentirebbe di risolvere le situazioni più spinose. Come questa di Osvaldo, appunto, che se una conclusione l’otterrà risulta alquanto improbabile che possa rivelarsi a lieto fine.