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Antielogio della minestra riscaldata

In principio fu Lippi. No, d’accordo, ci sono state decine di casi precedenti, ma per una volta facciamo finta di non farci caso. Quindi: dopo un quinquennio di vittorie alla Juventus, Marcello Lippi (forse stanco di vincere) trasloca all’Inter, fa in tempo a dire peste e corna del mondo intero («Se fossi il presidente manderei via subito l’allenatore, poi chiamerei i giocatori e li attaccherei tutti al muro e gli darei dei calci in culo a tutti»: il celebre contegno italiano), dimettersi e poi tornare all’ovile. Per vincere (l’obbiettivo era quello; poi sappiamo dalla storia che c’era qualcosa sotto).

Poi possiamo pensare alla seconda vita dello stesso allenatore viareggino: dopo aver detto al mondo intero che sarebbe rimasto fermo, prende la guida della nazionale, che conduce alla vittoria mondiale nel mentre le procure non mandano certo buone notizie (diciamo così). Vince, saluta la compagnia. Lo aveva fatto anche Aimé Jacquet, CT francese, dopo la vittoria nel mondiale casalingo (anno domini 1998). La differenza è che poi non aveva smaniato due anni per riprendersi quella panchina. E poi non ha certo guidato una nuova edizione della squadra nazionale in partite fenomenali come Slovacchia-Italia 3-2 (con gol preso su rimessa laterale).

Insomma, questo è soltanto un esempio — anche se chi scrive lo ritiene fin troppo significativo. Tutto sommato, anche se lanciata da entusiasmi ben diversi (e da un progetto che, si diceva, era costruito su misura), anche il ritorno di Zdeněk Zeman alla Roma era una minestra riscaldata. C’erano i ragazzi da sgrezzare, c’è un settore giovanile tra i più prolifici in assoluto… mancava la pazienza di aspettare. Anche se si era detto dapprincipio che il progetto doveva essere pluriennale, il boemo non ha retto all’inverno. Forse la squadra non era pronta per il suo modo di fare, o viceversa. Fatto sta che Florenzi è stato una piacevole scoperta, per esempio; e che ora Andreazzoli si gode una tardiva striscia positiva.

Bene: tutto questo per parlare di Inter e di Mourinho, tanto per cambiare (è storia recente il caso del voto di Pandev per il Pallone d’Oro degli allenatori). Non c’era bisogno delle sue parole perché cominciassero le speculazioni sul suo futuro: in Italia, per quanto ci riguarda, queste vanno avanti dal giorno successivo al Triplete.

Quindi: la sua prossima destinazione potrebbe essere un posto già visto. Facili i riferimenti: potrebbe essere un (improbabile) gioco di parole per rimanere a Madrid. Improbabili le altre destinazioni (Benfica e Porto su tutte). Da valutare l’opzione catalana, ma non è facile credere che Mou possa accettare un sistema del gioco come quello. Rimangono le due solite note: si dice che sia vicino all’accordo con il Chelsea, ma Moratti dice di averci provato.

Ora, devo riconoscerlo: i grandissimi allenatori si contano sulle dita di una mano monca (Mourinho, Capello, poco più). Ma a volte mi chiedo: è sempre e comunque necessario un nome sopra le righe per vincere? Il Chelsea, per esempio, la Champions l’ha vinta con un Di Matteo che era lì quasi per caso, eppure si è rivelato essere l’allenatore giusto al momento giusto.

Quindi: Stramaccioni finora non ha incantato? Questo è il suo primo vero anno da professionista, non credo sia un peccato. E anzi: spesso e volentieri, quando possibile, ha cercato di riferirsi al tecnico portoghese, almeno in certi atteggiamenti. Forse non basterà per una sua conferma; ma se il fair-play finanziario ha portato a una squadra giovane, e se con i giovani bisogna avere pazienza, probabilmente Stramaccioni merita una seconda, e forse anche una terza, possibilità.