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Un altro calcio – La psicologia applicata al pallone. Prof. Fabio Lucidi: “Questo sport influenza la società”

Lucidi Fabio

SETTIMA PUNTATA DI “UN ALTRO CALCIO”

Fabio Lucidi è professore Straordinario presso il Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione, facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Lo abbiamo contattato per cercare una risposta ad alcune dinamiche calcistiche che non riguardano il campo. Ne è venuta fuori un’intervista interessante e ricca di contenuti.

Professore, iniziamo dal tifo: cosa determina questo modo fanciullesco e irrazionale di sostenere la propria squadra?

E’ un tema assai dibattuto. Iniziamo col dire che l’uomo, in un contesto collettivo, tende ad uniformarsi alle regole generali che governano il gruppo. Alcuni la chiamano sindrome da Peter Pan perché, in una curva, regnano effettivamente dei comportamenti che a prima vista sembrano infantili, ma vi assicuro che in quel preciso momento non lo sono. Associarsi in gruppi è sia un’esigenza che una predisposizione naturale dell’uomo: ciò, infatti, non avviene solo grazie alla passione calcistica.  Esistono mille altri esempi, tutti legati tra di loro dal comune denominatore delle norme: noi possiamo considerarle più o meno buone ma, nel gruppo, rivestono una funzione quasi sacra. 

Perché la passione calcistica a volte degenera in violenza?

Degenera sia per le regole a cui abbiamo accennato sopra, che magari vengono interpretate in maniera sbagliata o nelle quali esiste una radice nociva già in partenza, sia per normali errori o deviazioni dell’uomo. In termini tecnici si parla di “disimpegno morale”, ossia quel fattore psicologico capace di farci ritenere logici alcuni comportamenti che nella sfera privata suscitano il nostro rimorso. Ci viene naturale, allo stadio, considerare il tifoso avversario come un nemico sportivo perché le regole prevedono ciò.

Ritiene il calcio uno dei migliori specchi dalla società?

Una volta avrei risposto subito affermativamente, perché è innegabile che in una curva o nelle polemiche post-partita si riproducano atteggiamenti tipici della vita quotidiana, mentre adesso ho qualche dubbio. Secondo me, ormai, il calcio e la società si influenzano in maniera reciproca. Basta osservare alcune manifestazioni politiche per capirlo.

Non crede che bisognerebbe recuperare l’aspetto ludico di questo sport?

Guardi, mi offre lo spunto per raccontare ai lettori una mia esperienza. Per una ricerca di lavoro ho seguito le sorti di un club professionistico che, da un momento all’altro, si è ritrovato senza presidente e senza la possibilità di pagare gli stipendi ai calciatori. Ebbene, proprio quando tutto è precipitato gli elementi della squadra hanno riscoperto il piacere del gruppo e del pallone inteso come gioco. Nonostante molti di loro fossero padri di famiglia in difficoltà economica per le vicissitudine della società, hanno recuperato l’aspetto ludico a cui lei giustamente si riferiva ed hanno centrato l’obiettivo prefisso a inizio stagione. Ciò è accaduto perché si è smesso di considerare il calcio solo come un lavoro: non per niente qualcuno ha detto che non esiste nulla di più serio dei giochi.

Passiamo ad un problema oggi assai comune: la pressione esercitata dai genitori sui loro figli che aspirano alla carriera calcistica

Da parte dei genitori, ma anche dell’allenatore, può esserci o un supporto autonomo oppure una pressione sociale. Quest’ultimo non è un termine propriamente psicologico ma serve a rendere chiara l’idea. Il supporto autonomo aiuta il giovane che vuole cimentarsi nel calcio, mentre la pressione sociale no perché sappiamo benissimo che uno sportivo può migliorare le proprie prestazioni solo grazie ad un allenamento corposo e quotidiano. Ebbene: con la pressione sociale è impossibile allenarsi come si deve.

Quanto un infortunio grave può incidere sul futuro rendimento del calciatore?

Può incidere molto ma, a tal proposito, mi consenta di fare un po’ di pubblicità alla mia materia. Si può recuperare da un infortunio attraverso varie tecniche, non ultime quelle psicologiche. Spesso un atleta che rifiuta i contrasti e tende a preservare una determinata parte del corpo è stato vittima di una ricaduta, cioè di un nuovo malanno successivo al rientro in squadra dopo il precedente stop. Il ruolo dell’ortopedico, del massaggiatore e di tutti gli altri specialisti è importante, ma principalmente bisogna risolvere quel blocco mentale che attanaglia il calciatore. La psicologia ci riesce grazie a diverse “terapie”.

Si può rintracciare un momento storico in cui il tifo e gli addetti ai lavori, a livello di mentalità, hanno compiuto questa evoluzione/involuzione? Oppure parliamo di caratteristiche ataviche dell’uomo sin dalla notte dei tempi?

Generalmente sì, ma è comunque possibile storicizzare il fenomeno. Quando nella società scarseggiano le norme ed i riferimenti culturali, allora si cerca una valvola di sfogo o una ragione di vita nei riti collettivi come il calcio. In periodi di guerra, al contrario, la violenza verbale viene sostituita da quella fisica, il popolo si compatta e non sente l’esigenza di ricorrere a tali manifestazioni.

Trovarsi sotto i riflettori dei media è dannoso per un giovane campione?

Solitamente è bello, in particolar modo quando il ragazzo viene elogiato per meriti professionali. Ciò è uguale in qualsiasi ambito. Nello specifico dell’universo calcistico, invece, ciò che può diventare nocivo per l’individuo è l’accorpamento in un mondo parallelo che fa ruotare tutto intorno al pallone e rende complicato il reinserimento nelle dinamiche quotidiane. Il campione, infatti, spesso si comporta nel mondo reale come fa in quello parallelo, ma le peculiarità delle due sfere sono completamente diverse.

Chiudiamo con una curiosità: lei è tifoso? 

Certo. Anche le mie figlie lo sono, peraltro di una squadra diversa dalla mia (ride n.d.r.).

Allo stadio si lascia andare?

Ovviamente non mi piace il tifo violento, però adoro i riti collettivi e quando posso vado volentieri allo stadio o ad un concerto e, come tutti, mi lascio travolgere dall’onda delle emozioni.

 

Le puntate precedenti:

07/02/2013 – La sociologia nel pallone: parola a Francesco Mattioli

14/02/2013 – Francisco Ramon Lojacono: un ricordo da salvare

21/02/2013 – Luciano Re Cecconi: la diversità fatta persona

28/02/2013 – Jason Mayelé: il ritardatario che volava sulla fascia

07/03/2013 – Da Zampagna a Balli: i viziosi allegri

14/03/2013 – Le nuove leve del tifo: addio provincia