Politica sportiva: sede vacante

Ci avevano spiegato che era necessario un tecnico: la politica non era disposta a fare quelle scelte — eppure sarebbe stata disposta a votarle, quelle scelte, se a prenderle fosse stato un elemento esterno che, in quanto tale, non avrebbe avuto da risponderne agli elettori. Poi sappiamo che il “tecnico” è salito nella rissa (sic), sconfessandosi. E sappiamo anche che, in linea generale, i sondaggi italiani sono fatti all’italiana: inaffidabili. Quando quindi l’onda si è abbattuta sul Paese, tutti quelli che non l’avevano causata (almeno: non direttamente) erano presi alla sprovvista. Come se pensassero che nessun elettore si fosse reso conto che il voto utile richiesto nel 2008, alla fine della fiera, si è rivelato peggio che inutile.

Una settimana fa avevo chiuso il mio editoriale con una nota che esprimeva poche speranze per il futuro politico del paese. Proseguo su questa linea, e non mi si dica che non posso permettermelo perché progressista: è proprio il progressismo a darmi la sfiducia in chi mi circonda — perché la fiducia nel progresso va di pari passo con una visione del mondo che, a oggi, nessuno ha assolutamente più.

Quindi: il panorama generale lo abbiamo visto nel lead, il primo paragrafo; sarà però anche il caso di andare a fondo su alcune questioni inerenti. Senza buttarla in politica, ma guardando ciò che accade dal lato dello sport. Per esempio: l’elezione di Malagò è stata un fulmine a ciel sereno che ha squarciato la tradizione “ereditaria” del CONI; parallelamente, l’affermazione di un dato movimento ha rotto le gerarchie costituite (per inciso: quelle di tutti coloro che non andavano per strada a rendersi conto dell’aria che tira). Parallelismo utile? Ne dubito.

Perché il nostro è un paese bloccato di fatto che decide di bloccarsi anche di diritto, votando un parlamento senza soluzioni che non siano peggio del buco o accanimento terapeutico o cure palliative. Non si poteva aspirare a nulla di differente quando anche i tecnici, chiamati a fare ciò che i politici non si sentivano, se ne sono usciti nel modo peggiore (per esempio accusando i giovani di essere troppo choosy: come se dire schizzinosi non fosse sufficientemente glamour & trendy, e come se camuffare le parole servisse a camuffare anche i concetti).

Il fatto è che lo sport avrà a che fare con questo parlamento; forse non sarà per cinque anni, sicuramente lo sarà nel breve periodo. E ci sono molte questioni rimaste ancora una volta sul tavolo, prima tra tutte l’annosa questione della cosiddetta Legge sugli stadi. Nel 2013 ricorre il cinquecentenario del Principe di Machiavelli (sono un Borgia, ne so qualcosa): chiunque sia l’interlocutore finale, è probabile che tutto passi in cavalleria; in ogni caso, al neopresidente del CONI, Giovanni Malagò, serviranno tutte le doti di leadership possibili per smuovere un provvedimento non più procrastinabile. Ci sono altre priorità, vero; ma non si vive di sola emergenza. E la politica sportiva non può mettersi in un cantuccio a prescindere.

C’è un (Beppe) Grillo da addomesticare, e c’è vacanza di sedi in ogni dove: nessuna prospettiva per il governo, il presidente Napolitano è entrato nel semestre bianco, e sappiamo tutti cosa è successo ieri a Castel Gandolfo. In altre parole: chiunque cerchi un referente, in questo momento e in questo paese, non è in condizione di trovarlo. Il mondo dello sport non ha riferimenti, e anzi: rischia seriamente di vedersi relegare in seconda fila (buono solo a tenere occupato il popolo). Idee, suggerimenti?

Uno, uno solo. È rimasto fuori dal Parlamento Gianni Rivera, e credo che sia una perdita piuttosto dolorosa: campione in campo, impegnato fuori (tra i fondatori del sindacato calciatori), era un “nostro” uomo infiltrato nei palazzi. Anzitutto, lo si può reclutare per qualcosa — qualsiasi cosa, al CONI o in FederCalcio. È un volto spendibile e ancora presentabile. Poi dobbiamo pensare a coltivare i rapporti con chi invece è entrato in parlamento: non ce l’ha fatta Renzo Ulivieri, sono dentro invece Franco Carraro (sì, proprio lui), Josefa Idem, Valentina Vezzali, Laura Coccia (400ista paralimpica) e forse Annalisa Minetti. Donne al potere, ancora una volta (curiosità sulle prime affermazioni della fiorettista: vediamo se ha imparato la lezione). Se riusciranno a mettersi d’accordo, sarà un bene per tutti.

Poscritto. Da progressista perennemente deluso, oggi chiudo con una bella cattiveria (mi scuseranno i tifosi “incriminati”): sentire Bersani rilanciare (?) la propria azione (?) affermando che «Siamo primi, ma non abbiamo vinto» mi ha fatto venire in mente il campionato del 2006. Revocato per motivi noti, e fin qui posso essere d’accordo; e vinto da chi primo non era, e qui non ci sto più.

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Pietro Luigi Borgia