Un altro calcio – Jason Mayelé: il ritardatario che volava sulla fascia

La velocità: brivido e follia, croce e delizia, amica e nemica. Quando sfrecciamo a tutto gas ci sentiamo leggeri, liberi, indipendenti; possiamo farlo in macchina, in moto o su un campo da calcio, perché l’importante è stordire il tempo e farsi rincorrere. In qualsiasi circostanza la si adoperi, però, è necessario conoscere tutte le controindicazioni che la figlia del vento porta e regolarsi di conseguenza. Se galoppi più della palla, è probabile che il tuo avversario abbia la meglio o che la sfera oltrepassi la linea di fondo. Se l’asfalto è bagnato e non riesci a staccare il piede dall’acceleratore, invece, può accadere che il destino approfitti di questa svista e con un cinismo da grande squadra ti beffi in contropiede. E’una storia classica, purtroppo, ma è anche la storia di Jason Mayelé.

Jason nasce a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo e una delle città più popolose al mondo con i suoi oltre 10 milioni di abitanti, il 4 gennaio 1976. Il calcio, si sa, è una delle più grandi occasioni di riscatto sociale per i giovani africani e la strada aiuta a consolidare alcune caratteristiche alle quali i ricchi europei non possono rinunciare. Può venirne fuori il giocatore gonfio di muscoli e ardore agonistico, il mediano alla Obi Mikel per intenderci, oppure lo scattista che parte e non lo prendi più, uno Speedy Gonzales con le gambe enormi da piazzare in attacco o sulla fascia. Mayelé appartiene all’ultima categoria: nasce punta ma non ha il senso del gol, così a poco a poco i suoi tecnici capiscono che sarebbe meglio sfruttarlo in modo che aiuti gli altri a bucare la porta. Settore giovanile in Francia, al Brunoy, e poi via allo Chateauroux, sei anni per partire dalla Terze Serie, giungere sino alla Ligue1 e perderla nuovamente. Nel frattempo, però, quella vecchia volpe di Massimo Cellino si è accorto di Jason.

L’Italia, fine anni Novanta, il top del calcio europeo (ahinoi verrebbe da dire pensando a oggi). 27 presenze in Serie A, in un Cagliari disgraziato, un solo centro e la retrocessione. Mayelé faceva coppia con Suazo: erano velocissimi, devastanti, ma a conti fatti concludevano poco. Poi arriva un allenatore che per gli esterni offensivi, o più correttamente le ali come sarebbe giusto continuare a dire nonostante la “modernità”, ha una particolare predilizione. Schiera la sua squadra con il 4-4-2 ed ha appena ottenuto una storica promozione dalla B alla A. Quell’allenatore si chiama Gigi Delneri e la squadra è il Chievo Verona. Jason parte in sordina ma non gli occorre molto per integrarsi negli schemi del tecnico di Aquileia e diventare il dodicesimo uomo dei gialloblu, quello che entra a gara in corso e dà il colpo di grazia ai già stanchi difensori avversari. Prima riserva dello storico Eriberto (adesso Luciano) e di Christian Manfredini, il congolese assapora l’aria d’alta classifica e con la sua simpatia si fa amare dai compagni e dal tifo. Celebri i suoi ritardi: l’allenamento è alle 10? Jason arriva alle 10:15, risponde con un sorriso ai rimbrotti di Delneri, scherza con il gruppo e comincia a correre. Contro il Verona, nell’unico derby vissuto dalla città di Romeo e Giulietta nel massimo palcoscenico, salta mezza compagine rivale e infiamma il Bentegodi; entra sempre intorno al 65esimo, quando Eriberto o Manfredini non ce la fanno più a sgobbare come i matti, e fa la differenza. Quel Chievo funziona come un orologio svizzero. A gennaio Jason Mayelé torna nel suo continente per la Coppa D’Africa: il rientro in Italia sarà infausto.

2 marzo 2002, in programma c’è Parma-Chievo. Il raduno è fissato per le 9 dello stesso giorno a Verona, in modo di raggiungere il centro sportivo per una breve rifinitura e poi incamminarsi verso Bagnolo Mella, paese di Eugenio Corini, metronomo di quell’orchestra che ha perso il padre. Il gruppo guidato da Delneri vuole partecipare alle esequie prima di arrivare al Tardini. Ci sono tutti, ne manca un solo. “E chi potrebbe essere se non Jason?”, si chiede la comitiva. “Stavolta questo ritardo glielo facciamo pagare” dice qualcuno scherzando. Alle 9 in punto arriva una telefonata: a Bussolengo, pochi chilometri di distanza, c’è stato un incidente in cui è rimasto coinvolto un ragazzo di colore con la divisa del Chievo. E’Jason Mayele, che aveva passato la notte con una ragazza di Bardolino conosciuta a fine ottobre. Il corpo è integro, il decesso avviene alle 9:50 dopo vari tentativi di rianimazione. Sicuramente è colpa del trauma cranico causato dall’impatto della sua Fiat Barchetta con una Opel Omega guidata da Luigina Recchia, 61 anni e una morte istantanea. Il riconoscimento del cadavere tocca al presidente clivense Luca Campedelli e al team manager Marco Pacione. Il funerale diventa doppio, la gara con il Parma è rinviata e la numero 30 gialloblu non sarà mai più indossata da nessuno. No, non era un ritardo: era l’ultimo dribbling di un velocista che abbandonava gli sprint sulla fascia ma continuava a volare. Chissà dove.

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