Esclusiva Mp – Due chiacchiere con Giancarlo Giannandrea, novello ds
Dalla florente scuola di Coverciano, nell’estate 2012, tanti ex campioni ne sono usciti con il patentino di direttore sportivo. A fianco di Fabio Cannavaro, Massimo Oddio e Stefano Fiore c’era anche Giancarlo Giannandrea, 30enne pescarese senza alcun passato da calciatore ma con molte conoscenze e idee sullo sport più bello del mondo. Siamo andati a sentirlo per valutare la sua concezione di un ruolo sempre più cruciale per le società italiane.
Giancarlo, partiamo dalla fine: su quale argomento verteva la sua tesi finale presentata a Coverciano?
Si parlava principalmente del premio di preparazione per le società dilettantistiche. Da pescarese citavo poi gli esempi di Fabio Grosso e Marco Verratti.
Precedenti esperienze nel calcio?
Sono partito dall’Eccellenza con un ruolo da Direttore generale, per poi passare in Terza Categoria a lavorare da ds. In seguito fui notato dal Ravenna, che mi volle tra le prorie fila. Purtroppo quell’anno non andò bene e la società romagnola fallì.
A chi non ha mai fatto calcio ma vuole comunque cimentarsi in questa professione, cosa si sente di dire?
Ognuno ha le prorie convinzioni e i propri obiettivi; io posso al massimo fare un discorso generale. Anche chi non ha mai fatto calcio deve comunque avere un grosso bagaglio di conoscenze tecniche da mettere alla prova nelle categorie minori. Si deve partire sempre dal basso: è un’esperienza comunque importante per testare le qualità di un aspirante ds.
Ha frequentato il corso di Coverciano assieme a grandi campioni come Cannavaro e Oddo. Quali le principali differenze di mentalità tra lei e loro?
Per chi viene dagli studi come il sottoscritto, l’approccio è diverso. Ad alcuni aspetti che magari gli ex campioni possono permettersi di considerare allegramente, noi prestiamo un’attenzione maggiore. Poi è chiaro che la loro esperienza di campo e di situazioni calcistiche è un valore aggiunto, così come è chiaro che le due cose si possono unire. Massimo Oddo, ad esempio, si è laureato all’Università di Teramo quasi nel mio stesso periodo.
La tua concezione del ruolo?
Il direttore sportivo, all’interno di una società, deve curare il lato tecnico ed amministrativo. Ciò comporta una serie di scelte e di responsabilità che costituiscono il lato affascinante di questo lavoro. L’importante è muoversi con dei criteri precisi, seguendo le proprie idee.
Meglio buttarsi alla prima offerta o valutare tutto e avere anche la forza di rifiutare?
Guardi, io sono convinto che per sposare una realtà calcistica ci vogliano determinati requisiti. Personalmente mi piacciono i progetti e nell’ultimo periodo ho rifiutato varie proposte da un club di Prima Categoria perché sentivo che non avrei avuto la possibilità di operare come prediligo. Con questa situazione economica, tra l’altro, puntare sul settore giovanile ed edificare strutture come una Cittadella diventano fattori cruciali che non devono passare in seconda linea.