Home » Un altro calcio – Luciano Re Cecconi: la diversità fatta persona

Luciano Re Cecconi fu prima di tutto un grande centrocampista, un organizzatore di gioco dal talento cristallino. Solo un tragico doppio passo della sorte volle che in seguito divenne un caso di cronaca, un rebus giudiziario e un giallo per la cui fine in molti hanno proposto un contenuto diverso. Non vogliamo addentrarci nei meandri dell’oscuro: non è questo il compito che si richiede al calcio e a chi prova a raccontarlo. Luciano Re Cecconi morì il 18 gennaio 1977, a Roma, nella gioielleria di Bruno Tabocchini. Zona “Collina Fleming” della Capitale, un luogo dai tratti misteriosi e un po’ snob. Entrando nel negozio, per goliardia, intimò al proprietario di consegnarli tutto: “Questa è una rapina!”, gridò. Peccato che il Tabocchini non riconobbe il metronomo della Lazio di Maestrelli e sparò con la sua Walther calibro 7.65 un colpo che prese il 28enne in pieno petto e gli tolse la vita dopo mezzora. Testimoni della vicenda Pietro Ghedin, attuale ct di Malta, e Giorgio Fraticcioli, un amico dei due ex biancocelesti. Doveva essere solo uno scherzo: fu un dramma. Ma non vogliamo parlarvi di una storia triste che, peraltro, non ha bisogno di ulteriori commenti.

Luciano Re Cecconi nacque l’1 dicembre 1948 a Nerviano, nel milanese, e mosse i primi passi della sua carriera con la maglia della Pro Patria. Allenatore era Carlo Regalia, in seguito ds del Bari e scopritore di talenti come Cassano e Zambrotta. Lo nota Tommaso Maestrelli, all’epoca tecnico del Foggia, che lo porta con sé nell’altalena che nei primi anni 70 vedrà il club pugliese galleggiare tra Serie A e Serie B. Mancanza di continuità quindi, ma non per Re Cecconi: inventato regista da Ettore Puricelli incanta tutti e convince il vecchio maestro, nel frattempo passato alla Lazio, a riprenderselo. Arriverà la consacrazione, lo scudetto numero uno dei capitolini, due partite in nazionale e l’infausto epilogo che conosciamo. Quella Lazio vinse contro se stessa, nonostante uno spogliatoio spaccato in due clan, quello di Giorgione Chinaglia e Giuseppe Wilson e quello del nostro Luciano e di Gigi Martini. Si allenavano veramente in gruppi separati, come se non fossero un’unica squadra. Nei ritiri e nelle doccie post-partita volavano pugni e insulti, ma la domenica mettevano da parte il rancore e asfaltavano qualsiasi avversario. Un caso speciale nella storia del calcio, una diversità che combacia alla perfezione con la vita di Re Cecconi.

Perché, escludendo i tifosi biancocelesti, si è quasi perso il ricordo della Lazio targata Maestrelli? Forse per le continue simpatie manifestate dai componenti della rosa verso l’estrema destra, in un periodo in cui tutte le forze del paese richiamavano alla moderazione. Forse perché il grande Chinaglia e lo stesso Re Cecconi, negli anni a venire, hanno dato modo ai cronisti di soffermarsi su altre vicende che attraggono di più il pubblico. E’ così: ci appassioniamo agli intrighi e dimentichiamo il campione. Non abbiamo quindi nozioni su quello che, non considerando i miti del cinema, fu il regista più puro del Novecento. Peccato…

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06/02/2013 – La sociologia nel pallone: parola a Francesco Mattioli

13/02/2013 – Francisco Ramon Lojacono: un ricordo da salvare