La Libreria di MP: Roberto Baggio, l’autobiografia
La recente apparizione di Roberto Baggio al Festival di Sanremo ha ravvivato ancora una volta, se mai ci fosse stata necessità, la corrispondenza di sportivi sensi che il pubblico conserva per questo grande campione, nonostante la propensione a eclissarsi dai riflettori che lo ha caratterizzato dopo la fine della gloriosa carriera. Per ripercorrere le vicende umane e calcistiche del Divin Codino, potrebbe essere interessante rileggere l’autobiografia uscita una decina di anni – ma ancora facilmente reperibile – intitolata “Una porta nel cielo” (Limina Editore).
Fin dal titolo, così evocativo di una pacificazione mistica, traspare il carattere di Baggio, animato dalla propria fede buddista: tanto volitivo quanto sereno, apparentemente fragile eppure temprato nell’acciaio interiore. Molti i momenti del racconto, che sembrano legati da un etereo filo spirituale, il karma di un campione.
All’inizio, la sofferenza fisica per gli infortuni giovanili, che a detta dei medici avrebbero dovuto stroncargli la carriera. Il 5 maggio 1984, poco giorni dopo aver firmato con la Fiorentina, durante un Rimini–Vicenza di fine stagione una scivolata per rincorrere un avversario gli costa crociato anteriore, capsula, menisco e legamento collaterale. Curiosità: sulla panchina del Rimini sedeva un certo Arrigo Sacchi.
Duecentoventi punti interni e un ginocchio tenuto con graffette metalliche. E da allora in poi, una gamba più corta dell’altra e la perenne necessità di fisioterapia. All’epoca, in molti avevano dovuto salutare e andarsene dopo incidenti del genere. E invece, lenta ma inesorabile, arriva la rinascita, Firenze, il cielo, la magia, i dribbling ubriacanti, le punizioni all’incrocio dei pali, gli assist a Borgonovo, i gol a raffica e l’amore di una città che lo elegge proprio figlio d’arte.
Di lì in poi, i Mondiali del ’90, prima del travagliato passaggio alla Juventus, la consacrazione internazionale, il Pallone d’oro e il Mondiale americano, vissuto da protagonista assoluto e segnato dal rigore mandato alle stelle nella finale di Pasadena. Seguono gli anni a bassa intensità nel Milan, la rinascita a Bologna e la convocazione per il Mondiale di Francia, l’esperienza all’Inter, fino all’uscita di scena, a testa alta e palla in rete, dopo le fortunate stagioni trascorse a Brescia, con Carletto Mazzone.
Non solo gli infortuni hanno segnato il percorso di Baggio. Un ruolo importante lo hanno interpretato anche gli allenatori, non sempre a loro agio di fronte al talento naturale e alla personalità taciturna ma non certo remissiva di Baggio. Tra gli altri, spiccano il difficile il rapporto con Arrigo Sacchi sia in Nazionale – memorabile il labiale di Baggio nella partita contro la Norvegia ai mondiali americani, quando dovendo rimediare all’espulsione del portiere, Sacchi lo sostituì dopo dieci minuti (“Mi sentii tradito. Pochi giorni prima mi aveva detto che io ero per l’Italia quello che Maradona era per l’Argentina e poi levava proprio me”) – sia poi al Milan. Troppo meticoloso e stressante, l’allenatore di Fusignano. Ma almeno con lui, il tempo ha mediato i rapporti. Duro anche il rapporto con Ulivieri a Bologna, allenatore che sembrava soffrire di gelosia verso Baggio e con il quale ci furono furibonde litigate. Ma più di tutti, l’avversario in panchina di Baggio fu Lippi, sia alla Juventus che poi all’Inter. Racconta Baggio che quando si ritrovarono all’Inter, Lippi gli chiese di riferirgli chi avesse remato contro nello spogliatoio durante la stagione precedente. In pratica, di fare la spia. Di fronte al rifiuto, tra il talento e il “caudillo” cominciò una guerra psicologica, fatta di panchine ed umiliazioni inflitte nelle sedute di allenamento che portarono ad una frattura mai più ricomposta. Salvo vedere il trionfo di Baggio, quando in un disperato spareggio per l’accesso in Champions contro il Parma, allorché Lippi fu costretto ad inserirlo in quanto unico attaccante rimasto, infilò prima un assist e poi un gol decisivo. Con Mazzone a Brescia invece, Baggio trovò l’allenatore ideale, quello con cui instaurare un rapporto autentico e profondo, il coreografo ideale per il proprio talento.
Insomma, una biografia ricca, come la storia di un campione, che spiega pagina dopo pagina il perché di tanto affetto spontaneo: con la sua classe e le sue rivalse, i suoi tocchi morbidi o dolcemente piazzati (come il gol segnato alla Nigeria, negli ottavi di Usa ’94), Baggio ha rappresentato un calcio funambolico e coinvolgente, composto della stessa materia di cui sono fatti i sogni del pubblico. E pazienza, se a volte non lo sono gli schemi degli allenatori.