Ora basta, si fa sul serio

Giochiamo ogni tre giorni, non si possono sempre schierare i migliori“, dice Mazzarri; “4000 chilometri di viaggio ci condizionano, lasciamo a casa i migliori“, si lamenta Stramaccioni; “Di Natale? Meglio farlo riposare in Europa League“, commenta Guidolin.

Basta. Le lamentele, o peggio le scuse, lasciamole agli altri, ora cerchiamo di tornare subito protagonisti in Europa e nel mondo. La Champions League, in tempi di italica crisi, è una competizione molto difficile da affrontare per gli esangui e non certo eccelsi organici delle nostre squadre e le possibilità di vittoria per una italiana, a meno di miracoli comunque sempre ben accetti, sono in effetti ridotte a un lumicino; in Europa League invece no. Napoli, Inter e Lazio possono tranquillamente dire la loro per accedere ai quarti di finale senza eccessiva fatica, e poi a quel punto si punterebbe “all in”, per usare un termine al mondo del poker, al fine di strappare un biglietto per l’Amsterdam Arena, prestigioso teatro della finale di maggio.

Togliamoci dalla testa questa mentalità che ha causato un passo indietro (anzi, facciamo due) di tutto il movimento calcistico italiano. Dove sono finite quell’Inter e quella Lazio che, nell’ormai lontano 1998, si impadronivano della finale di Coppa Uefa a Parigi? Oppure, avvicinandoci un po’ più ai giorni nostri, abbiamo forse dimenticato la supremazia nostrana in Europa nella stagione 2002-2003, quella in cui Inter, Milan e Juventus giungevano contemporaneamente in semifinale di Champions League, facendo capire al mondo intero che il bel calcio parlava solo italiano.

Viktoria Plzen, Borussia Moenchengladbach e CFR Cluj sono le antagoniste delle tre italiane rimaste in corsa, visto il disastro combinato dall’Udinese nel girone. Non proprio tre club impossibili da battere, non proprio tre rappresentative temibili per il nostro movimento. Lo diventano, però, se in campo scendono seconde linee demotivate e poco allenate, scialbi comprimari in una stagione divisa tra panchina e tribuna. L’entusiasmo e la determinazione della Juventus, che ha espugnato Celtic Park con una cattiveria agonistica impressionante, deve essere preso come un esempio; anzi no, meglio come un diktat.

Il salto di qualità deve essere compiuto da tutti quanti: in primis i giocatori, che non devono considerare l’Europa League come poco più che un’amichevole per allenarsi in vista del campionato; poi dai tifosi, perché perdere 3-0 con il Rubin Kazan non dev’essere ricordato come un incidente di percorso a qualificazione già ottenuta, ma come una disfatta inammissibile per un club che, nemmeno tre stagioni fa, faceva bottino di tutti i trofei possibili e immaginabili in Europa e nel Mondo; e infine da dirigenti e allenatori, i quali non possono permettersi il lusso di sottovalutare quella che è, a tutti gli effetti, la seconda competizione calcistica per club del vecchio continente. E’ pur vero che l’accesso da parte di tre o più squadre alla Champions League ha impoverito e non poco l’ex Coppa Uefa, ma proprio per questo motivo noi italiani dovremmo partire con un piede davanti a tutti. Pochi campionati esteri possono vantare otto squadre come Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio, Fiorentina e Udinese; e questo fa tutta la differenza del mondo, se si affrontano le gare con il giusto atteggiamento.

Non è questa la sede per analisi tattiche e tecniche: indipendentemente da moduli, formazioni e risultati finali, ciò che ci piacerebbe vedere nei prossimi giovedì sera da stasera sino a maggio è il cuore su ogni azione di gioco, la determinazione in ogni contrasto, la volontà di vincere tutte le gare. In campo fanno spesso la differenza, ancor più delle qualità dei singoli; ma la voglia di combattere è insita in ognuno di noi, ed è difficile essere contagiati se dentro di noi non sentiamo ardere un fuoco acceso, soprattutto, dalla voglia di vincere: per sé stessi, per i propri tifosi e per lo stemma cucito sulla maglia da gioco.

Maglia da gioco che per ogni club rappresenta la storia, la sua storia, nel cui ricordo, oggi, siamo ciò che siamo: e la nostra, di storia, è ricca di successi e prestigio, non di eliminazioni ai sedicesimi di finale.

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Alessandro Lelli