Storie di Provincia: l’Ascoli di Rozzi
Chiunque abbia vissuto la stagione dell’infanzia calcistica tra il finire dei ruspanti anni ’70 e i ruggenti anni ’80, non può dimenticare come gli album dei calciatori s’aprissero costantemente con la figurina dello scudetto dell’Ascoli. Erano campionati che si presentavano al via con un rating ‘tripla A’ (Ascoli, Avellino, Atalanta), dove accanto alle tradizionali grandi del campionato, ogni anno si conquistavano un posto al sole le più agguerrite compagini di provincia, quelle che in trenta partite e con soli due punti a vittoria, difendevano la dignità dei propri campanili dall’arroganza delle squadre metropolitane, spesso trascinate dall’ardore dei cosiddetti “presidenti vulcanici”.
Il più illustre tra questi, fu probabilmente Costantino Rozzi, costruttore e padre padrone dell’Ascoli, che mantenne nella massima serie per una quindicina di anni, quasi consecutivamente e poteva orgogliosamente affermare a chi lo contestasse: “Prima che diventassi presidente, l’ Ascoli giocava contro il Montegranaro e il Perticara. Io qui ho portato Milan e Juve”.
Ma per parlare dell’Ascoli, cominciamo dal Campionato dei record in serie B, stagione 1976-77: 61 punti con 26 vittorie, 9 pareggi e 3 sconfitte; 73 gol fatti e 30 subiti, 17 punti di vantaggio sulla seconda. Nemmeno la Juventus del 2006-2007 ha saputo far meglio. L’allenatore era Mimmo Renna. Tra i calciatori, accanto ai bomber Ambu e Quadri, spiccava l’ala Giovanni Roccotelli, specialista nell’ ”incrociata”, quel colpo meglio noto oggi come “rabona”, con cui crossava, passava e calciava perfino punizioni e rigori.
Di lì in poi, tanta serie A.
Se l’Ascoli riuscì a stanziarsi così a lungo e saldamente nella massima serie, oltre ai meriti di Rozzi e di allenatori come Mazzone, per tanti anni prima calciatore e poi gran maestro della panchina ascolana, bisogna riconoscere oggi le virtù agonistiche e il ruolo storico di quei veterani della marcatura che per tanti anni costituirono i bastioni difensivi che resero arduo espugnare il Del Duca. Da Donato Anzivino (186 presenze e 1 gol) – uno che come Claudio Gentile al Mundial fu capace di annullare Zico quando gli toccò in marcatura – a Francesco Scorsa (214 presenze, 1 gol), da Simone Boldini (108 in bianconero con 4 gol) a Leonardo Menichini (77 senza reti), Eugenio Perico (236 presenze, 7 gol) e Angiolino Gasparini (134, 1 gol): tra tutti, il bilancio complessivo è di 955 presenze e 10 gol: gente affidabile, che difficilmente si assentava dalla propria zona di competenza per cercare effimere vanaglorie in avanti e ancor più raramente lasciava il passaggio libero agli attaccanti avversari.
Meno appariscente fu il capitolo dedicato agli stranieri, dove prevalse un esotismo low cost: ricordiamo il centrocampista Zahoui, il primo africano ad aver giocato (per la verità ben poco) in Italia, l’onesto slavo Trifunovic, l’argentino Patricio Hernandez, noto come la riserva di Maradona in nazionale e destinato a diventare la riserva di chiunque altro durante la sua esperienza italiana o anche Hugo Maradona, fratellino del pibe che del fratello aveva giusto un po’ il taglio degli occhi. Di altra caratura invece brasiliani come Juary e Dirceu, esperti calciatori che spesero sui campi di provincia spiccioli di carriera, o l’irlandese Liam Brady, precursore di Platini alla Juventus.
Nelle migliori stagioni, l’Ascoli ottenne un quarto posto (grazie anche alla retrocessione per calcio scommesse del Milan) ed un sesto, senza tuttavia mai riuscire ad accedere in coppa Uefa. Ma forse è stato meglio così, forse doveva essere questo l’immagine nella memoria, un tratto di strada ben caratterizzato da un solido impianto di provincia e privo di corruzioni fugaci, come la Disneyland europea. Tra le vittorie storiche, ricordiamo il 2 -3 di Juventus – Ascoli nel 1980 o la vittoria a San Siro per 1 -2 nell’81 QUI il video).
Quando sul finire degli anni ’80 la diminuzione del manifatturiero e la crescita del terziario e della finanza cambiarono il volto della società italiana, iniziò anche il declino dell’Ascoli di Rozzi. La squadra abbandonava il palcoscenico di serie A e quel posto storico fu occupato stabilmente da nuove realtà di provincia fino ad allora ignote, capaci perfino di centrare obiettivi europei e ingaggiare campioni, come il Parma o anche, in misura minore, il Chievo. Ma per chi si era abituato a quella presenza, rimane comunque sottinteso che l’Ascoli ora è impegnato, ma ha lasciato detto che torna.