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Il futuro italiano… parla straniero

Investire all’estero per salvare l’Italia. Come filosofia risulta alquanto bizzarra, eppure a un’analisi attenta e curiosa, sembra che la strada da intraprendere sia proprio questa. Perché? Facciamo un esempio: l’Udinese, la sua presidenza. E’ notizia della scorsa estate l’avvenuta acquisizione, da parte dei Pozzo, del club friulano del Watford, società inglese militante nella interessantissima Championship, la Serie B d’Oltremanica. Non solo: già da qualche anno, la stessa famiglia Pozzo, come ben saprete, è proprietaria del Granada, squadra attualmente militante nella Liga spagnola ma prelevata quando anch’essa non se la passava proprio alla grande. Due squadre straniere comprate, dunque, due società nuove da gestire, e da far crescere, da far fruttare. Attorno a tale scelta, è ovvio che non ci sia stata tanta serenità da parte di stampa e critica, soprattutto all’inizio: i dubbi, numerosi e apparentemente legittimi, sono spuntati come funghi, così come le domande, una fra tante: perché far “uscire” i soldi fuori dai nostri confini? Perché non lubrificare l’economia italiana investendo, magari, in qualche società minore del nostro paese?

In effetti, tali interrogativi potrebbero risultare alquanto opportuni se non fosse che la risposta a essi è proprio intrinseca alla domanda. Perché investire all’esterno dei confini? Per gestire meglio le risorse interne. La scelta di puntare su Granada e Watford è stata, da parte dei Pozzo, assolutamente intelligente: ha consentito, infatti, e consente tuttora a quella che è prima di tutto la dirigenza dell’Udinese, di poter utilizzare appieno, per esempio, le grandi risorse fornite dall’enorme parco giocatori di cui il club bianconero dispone. Come si sa, la società friulana è esperta nello scovare talenti in giro per il globo: basti pensare a Inler, Sanchez, Isla, Asamoah, Danilo, Allan, Muriel, Heurtaux. Nomi conosciuti, a cui se ne affiancano altri, un po’ meno conosciuti, e che in Italia sono passati senza lasciare particolare traccia: mi riferisco a Battocchio, Abdi, Torje, Vydra. Questi e tanti altri che, dopo un trascorso non fortunatissimo all’Udinese, sono riusciti alla fine a dimostrare le proprie qualità perché smistati, appunto, nelle due squadre sopra citate, Granata e Watford, divenute importanti “filiali” della grande madre Udinese.

Il trucco è proprio questo: utilizzare il grande potenziale a propria disposizione in maniera alternativa; limitare le cessioni ed evitare, dunque, che talenti ancora grezzi possano sbocciare altrove e rischiare di perderli; far crescere i campioni del futuro in campionati veri (decisamente più competitivi rispetto al nostro campionato Primavera) e tenerli sotto controllo; possedere risorse, e utilizzarle nel modo giusto, limitando le spese giocando magari sulla fiscalità differente, riuscendo così a monitorare, a gestire, diversi bilanci i cui introiti e le cui spese confluiscono, ovviamente, nell’unica “tasca” proprietaria.

I benefici, ovviamente, sono evidenti; le società fioriscono e crescono, le squadre migliorano e si sviluppano. Aumentano i guadagni, aumentano le ambizioni. Relativamente ai Pozzo, il Granada ha, come detto, conquistato la Liga e si sta confermando una bella realtà del calcio spagnolo; il Watford è attualmente tra le squadre leader della cadetteria inglese e pregusta già un roseo futuro in Premier League; con l’Udinese che negli ultimi due anni ha centrato la qualificazione in Champions seppur non dispuntandola praticamente mai (e questo va un po’ in controtendenza con le ambizioni, appunto, di crescita e quant’altro; ma sono scelte, e figuriamoci: ogni proprietà è libera di prendere le decisioni che ritiene più opportune). Udinese che quest’anno, nonostante il campionato non di altissimo livello, può ancora dire la sua proprio sul discorso Europa, anche se come ufficialmente dichiarato l’obiettivo è ben inferiore: un’umile salvezza (in fondo, la sensazione è che il salto di qualità definitivo non sia proprio nelle sue corde).

Insomma, traendo le somme di quanto affermato, si può dichiarare tranquillamente che, al giorno d’oggi, investire all’estero appare proprio un qualcosa di utile. L’Italia va rimodernata e siamo d’accordo; bisogna però farlo con la dovuta strategia. Magari incentivando la costruzione di nuovi stadi di proprietà (e l’Udinese sta portando avanti anche questo progetto: presto ci sarà il nuovo Friuli. Sarà la seconda squadra a costruirlo, in Italia, dopo la Juventus e il suo splendido impianto torinese), che possano innanzitutto tornare a fare innamorare la gente del calcio giocato, quello vissuto dal vivo. Il nostro sistema imprenditoriale ha bisogno di nuove forze, di risorse funzionali ed efficaci che purtroppo dall’interno non riesce proprio a trovare. Sull’esempio dei Pozzo e di coloro che hanno deciso di intraprendere questa strada (sono parecchi, ma mi è sembrato opportuno segnalare solo il caso più lampante) bisogna studiare, perché il terreno appare battuto, e ci si può correre apparentemente senza ostacoli. Il calcio, al giorno d’oggi, non è più solo uno sport: è una vera e propria industria (purtroppo o per fortuna?), e come tale va trattato. Risollevare l’Italia, dunque, utilizzando le risorse straniere è un’idea; un’idea che a qualcuno può risultare anomala, ma che come si è visto, se sviluppata con cervello, carattere, sagacia, attenzione e convinzione, può portare ottimi risultati.