Il calciomercato è contro il “progetto”
Nel mio ultimo editoriale ho parlato di come il calciomercato italiano attuale, ormai, sia regolato da interessi ben diversi da quelli prettamente sportivi, e di come in tutto ciò sia del tutto sparita la fantasia e la capacità di guardare oltre il contingente. Credo però che un ragionamento del genere non possa essere completo se non si affronta un altro argomento, ed è quello che mi accingo a fare oggi.
Per assurdo, l’infinita gamma di possibilità fa sì che la fantasia diminuisca. E ho scritto per assurdo, quando in realtà è perfettamente logico: se mi vengono fornite due idee preconfezionate, mi rimane molto più spazio per inventarmi qualcosa, se sono in grado; se me ne vengoono fornite dieci, di idee, sarò molto meno invogliato ad andare a cercare una strada ulteriore.
In altre parole: non c’è fantasia nel mercato perché il mercato è ovunque. E questo è un ovunque sia nello spazio che nel tempo: se alle Canarie c’è un difensore forte, o se in Antartide un pinguino ha un innato senso della posizione, in breve tempo si spargerà la voce; e si comincerà a parlarne all’infinito, sapendo che alla prossima finestra di mercato succederà qualcosa qualsiasi cosa. (Forse anche per questo ho sempre apprezzato Zeman: chi conosceva Castán prima di quest’estate? E potrei fare moltissimi altri esempi, pur se non tutti esattamente riusciti César Gómez: chi era costui?)
Uno dei punti in gioco è proprio questo: l’onnipresenza del calciomercato uccide la programmazione. Penso a come si faceva prima: si costruiva una squadra (ci si pensava in primavera, la si realizzava in estate) e poi, fatta la scommessa, si sperava di poter raccogliere i frutti a distanza di un anno o giù di lì. In altre parole: c’era una sola risorsa, il lavoro in palestra e sul campo e sul gruppo. Difficile accettare errori, certo; ma credo non vi fosse una sfida tanto appassionante quanto quella di far maturare una squadra.
Oggi, col calciomercato aperto a più riprese, tutto questo non esiste più. Se la squadra è sbagliata, si deve correggerla in corso d’opera (rare volte con risultati realmente gratificanti); e se la società non corregge la squadra, il tifoso sale sulle barricate. E dire che nel calcio, almeno, abbiamo ridotto le finestre, perché altrove è ben peggio (il basket tiene aperto tutto l’anno o quasi).
Esempio non calcistico, quindi: una delle società più titolate della pallacanestro italiana, la Virtus Bologna, quest’anno ha costruito una squadra con un certo potenziale e limiti ben noti (panchina corta, americani non eccezionali, nessuna riserva affidabile in ala forte, inesperienza per molti a questi livelli); partita con tre vittorie consecutive, ha fatto poi altrettanto nelle successive tredici partite. L’immobilismo sul mercato, in questo caso, non è dato però da una reale convinzione nel gruppo (i cui limiti, lo ripeto, erano noti dal principio), quanto dalla mancanza di risorse.
In altre parole: la crisi porta le squadre a dover scommettere su certi gruppi (e, magari, a dover costruire gruppi che si sa che partiranno “zoppi”). È proprio questo quello che vogliamo? Ci sono squadre sovradimensionate, come rosa, ambizioni e patrimonio; e non mi pare che sia il caso di continuare a rilanciare l’azione, in questi casi. Semmai, da rilanciare (o proprio da lanciare) ci sono tante scommesse del passato, mai però portate avanti fino in fondo: una risorsa dimenticata e silente.
“Progetto”: tutte le squadre ne parlano, nessuna lo ha veramente o, anche se qualcuna ce l’ha, poi difetta della costanza di perseguirlo fino in fondo, di credere nella sua stessa validità di base oltre le contingenze. Meno calciomercato, più lavoro: i risultati, a mio modesto avviso, devono passare da qui.