Stracciala

Nel momento in cui mi accingo a scrivere questo editoriale, sono passati circa dieci minuti dal fischio finale delle partite della domenica pomeriggio. Non so cosa possa succedere da qui a mezzanotte, orario di pubblicazione del pezzo.

Però una cosa è certa: l’Inter di Stramaccioni ha perso contro il Siena, di nuovo come all’andata e, di nuovo, come nelle ultime trasferte recenti.

Ed è strano che tocchi ancora al Siena rendere evidenti quelli che sono i limiti “stagionali” dei nerazzurri. Perché se un girone fa, in autunno, sconfisse a San Siro un’Inter invincibile in trasferta, oggi in pieno inverno batte un biscione che se vince lo fa solo tra le mura amiche.

La partita d’andata non fu molto diversa da questa: Inter a comandare il possesso palla, Siena a ripartire in contropiede affidandosi a Sestu (che diventa Messi solo quando vede nerazzurro).
L’Inter, però, da quella partita dell’andata riuscì a riprendersi, tornò a vincere anche in casa, espugnò lo Juventus Stadium interrompendo la striscia di risultati positivi della Juventus che durava addirittura dalla fine della stagione 2010/2011, arrivò addirittura a sognare lo Scudetto.

E poi? Cosa si è rotto nel giocattolo-Inter? Sicuramente ci sono state squalifiche e infortuni degli uomini cardine (due su tutti: Samuel e Milito) e qualche errore arbitrale a sfavore. Ma, bene o male, sono cose che nell’arco di un campionato capitano a tutte le squadre. C’è stato un periodo di flessione fisica, ma anche lì ci può stare.

In soccorso di Stramaccioni è arrivato anche il mercato, che ha portato Rocchi, Kuzmanovic, Schelotto, Kovacic. Eppure siamo qua a parlare dell’ennesima sconfitta fuori casa. Perché?

Io sono un tifoso, come la stragrande maggioranza di chi segue il calcio. Il mio cuore non batte per i nerazzurri, ma mi capita di leggere o sentire i commenti di quella parte del tifo. O meglio, di quella parte del tifo rappresentata da persone che stimo e che ritengo saper parlare di calcio. Di quel calcio che va oltre la fede del tifo.

Ma a volte, quando c’è di mezzo il sentimento, la ragione non riesce a far bene il suo mestiere e si fa da parte. E la fede, l’amore viscerale, ci porta a fare una cosa sola: difendere i nostri beniamini, sempreecomunque (tutto attaccato). Eppure non tutte le volte è giusto fare così.

Guardiamo l’esempio di Stramaccioni con l’Inter. È vero, è delittuoso (calcisticamente parlando) che la società non abbia preso un attaccante serio durante il mercato di gennaio. È assurdo che non sia stato comprato un regista basso di centrocampo ma un altro incursore come Kuzmanovic. È incredibile che non sia stato preso un sostituto all’altezza di Samuel.

Tutto giusto, tutto vero. Ma chi è l’allenatore? Chi è che chiede determinati giocatori alla società? Chi è che si impone con i dirigenti chiedendo giocatori che sappiano ricoprire un preciso ruolo? È l’allenatore che sta con la squadra per tutta la settimana, che sa tutto ciò di cui ha bisogno per migliorarsi.
Puntare ancora su questo Chivu, affidarsi ad un tandem di non-punte come Palacio e Cassano, far giocare fuori ruolo una mezzala fenomenale come Guarin, la ricerca unica del risultato lasciando da parte l’elaborazione di un gioco e, in ultimo, cercare di bruciare due nuovi importanti acquisti come Schelotto (sostituito dopo un solo tempo, quasi a lasciar intendere che le principali colpe della sconfitta fossero sue) e Kovacic (ragazzo davvero bravo del ’94 buttato dentro nella ripresa manco fosse il salvatore della patria).

La verità, per quanto possa far male, è che Stramaccioni, anche se ci si è sentito per un momento, non è Mourinho e mai lo sarà. E l’occhio lucido a fine partita lascia intendere che forse l’ha capito anche lui.
È un allenatore giovane che si farà ma che, probabilmente, non è ancora in grado di gestire e motivare uno spogliatoio complicato e unito (guidato dallo storico gruppo degli argentini) come quello dell’Inter.

E a volerla dire tutta, semi-citando un’ottima tifosa nerazzurra che ho avuto il piacere di leggere recentemente, è capitato in un ambiente, capitanato dal presidente, che ancora deve riuscire ad elaborare il lutto della scomparsa di José.

Amala? Stramala? In questo periodo è solo “Stracciala”.

Published by
Francesco Mariani