I grandi del calcio russo: Eduard Streltsov, il Pelè bianco

Terza puntata della rubrica che ci conduce alla scoperta dei personaggi che hanno fatto, o che faranno, la storia del calcio russo. Se negli scorsi episodi ci eravamo soffermati su giocatori “contemporanei” quali Pavel Pogrebnyak e Andrey Arshavin, oggi viaggeremo indietro nel tempo, per scoprire chi era Eduard Streltsov.

Se un esperto (o presunto tale) dovesse descrivere il carattere di Eduard Streltsov, lo definirebbe un gran testardo. Icona della Torpedo Mosca, il suo amore sconsiderato verso quei colori, mal digerito dai piani alti, lo convinse a rifiutare le proposte del CSKA e della Dinamo e a patirne le conseguenze.

Unanimente considerato uno dei calciatori russi più forti di tutti i tempi Streltsov, prima della prigione, se la giocava alla pari con Pelè e Garrincha. Attaccante di razza, potente, che sapeva quando far male. Lontano dal proletarismo rappresentato dai vari Netto e Yashin, controrivoluzionario per eccellenza, Streltsov ha pagato caro queste sue caratteristiche: nel 1958, a soli 21 anni, viene coinvolto in una dacia per una festa, quella del militare Vladimir Kharanov, appena tornato da una campagna in estremo Oriente. Streltsov viene accusato di stupro nei confronti di una ragazza presente quella sera, e convinto di poter firmare una confessione per essere libero di giocare la coppa del mondo in Svezia. Quello dell’attaccante della Torpedo è però un autogol e viene spedito in Siberia, ai lavori forzati, dove resterà per 7 anni.

E’ un periodo che cambia, ovviamente, la vita di Eduard. Tesserato per la Torpedo, torna in campo nel 1965, guidando la sua squadra al secondo titolo nazionale. Ma Streltsov è una persona diversa, il sorriso e l’agilità di un tempo sono scomparsi nel complesso di un personaggio duramente provato da una condanna ingiusta.

Verrà sempre ricordato per il “suo” colpo, il “tacco alla Streltsov“. Tocco unico nel suo genere, di coefficiente di difficoltà elevatissimo, che sbaragliava gli avversari e regalava gioie ed emozioni agli operai accorsi in massa per vederlo.

Nel 1967 e nel 1968 viene eletto miglior giocatore sovietico, piccolo contentino delle privazioni subite negli anni più floridi della sua carriera. Senza quella serata oscura, sebbene alcuni affermino che fu il rifiuto al CSKA (squadra dell’armata rossa) e alla Dinamo (Kgb), probabilmente, non parleremmo con vena malinconica di quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Con la maglia bianconera della Torpedo segna 99 gol in 222 partite, mentre con la casacca dell’URSS ben 25 in 38 partite.

Nel 1990 muore per un cancro alla gola, malattia causata dagli anni passati in miniera. Oggi viene celebrato con una bella statua al di fuori dello stadio a lui titolato: impianto dove fino alla sua estinzione (2010) ha giocato l’Fc Mosca, e dove tutt’ora gioca la Torpedo.

La sua storia può risultare un po’, come dire, fuori dal mondo; sebbene l’epoca storica non sia nemmeno comparabile con quella odierna, oggigiorno le bandiere nel calcio non esistono più. E l’attaccamento alla maglia, oltre che alle connesse ideologie politiche, sociali e culturali, ha reso Eduard Streltsov una persona encomiabile, che si è guadagnata il rispetto col passare degli anni.

“Streltsov sarà sempre ricordato come un genio del calcio. La sua condanna privò la nazionale di un talento che sarebbe entrato nella storia.” (Aleksandr Vaynsheva, biografo)

“Streltsov non parlava mai della sua condanna, e del periodo nei Gulag.” (Viktor Shustchkov, giocatore della Torpedo dal 1958 al 1970)

“In punto di morte mio padre confessò a mia madre la sua innocenza” (Igor Streltsov, figlio di Eduard)

Le scorse puntate:

Lun 21 gen: Pavel Pogrebnyak, classe abbinata a potenza
Mer 23 gen: Andrey Arshavin, talento e svogliatezza