Avrebbe compiuto 94 anni oggi, Bob Paisley. Un uomo fiero ma riservato, un uomo che ha dedicato la propria vita a un colore, a una città, una squadra, una bandiera. E’ entrato nella storia dalla porta dell’umiltà, dalla porta del popolo, e se ne è andato con la classe che ha contraddistinto tutta la sua straordinaria carriera. Figlio di minatore, aveva la passione di un calcio pulito, dominato, un gioco vinto attraverso il sudore e il bel gioco.
Aveva iniziato calcando campi amatoriali con la maglia del Bishop Auckland, ma il suo destino era già segnato: agli albori della Seconda Guerra Mondiale, l’8 maggio del 1939, il Liverpool lo convinse a firmare il contratto che gli cambiò la vita. Quel terzino colmo di classe aveva firmato il suo legame d’amore, un legame che lo accompagnò fino alla fine dei suoi gloriosi giorni. Lo scoppio del conflitto provò a fermare la sua gloria, i suoi sogni, la sua intera vita calcistica, lasciando lui e tanti altri ragazzi senza un pallone, ma con tanta voglia di tornare presto a divertirsi e divertire. Bob Paisley si rivelò ben presto più forte di tutto, anche di una guerra che gettò nelle tenebre gli occhi di milioni persone.
Un tragico viaggio nel Nord Africa agli ordini del generale Montgomery, poi la Sicilia, poi fino a Roma, dove entrò da liberatore e da vincitore, come quando nel 1977 vinse la prima Coppa dei Campioni da allenatore del Liverpool, proprio contro una squadra tedesca, il Borussia Mönchengladbach, allora una delle più forti compagini esistenti.
Tornato, finalmente, in campo, contribuì alla vittoria del campionato del Liverpool nel ’47 e poi, attraverso i trionfi, fino al 1954, quando appese le scarpette al chiodo per poi diventare il braccio destro di un altro mostro sacro della storia del Liverpool, Bill Shankly. Nel 1959 però arrivò il tempo di prendere in mano le redini di quella gloriosa squadra. Ma la pagina più bella di questa straordinaria storia doveva ancora essere scritta. Qualcuno aveva dei dubbi sulla sua capacità di reggere la pressione, di fare la parte del duro davanti a tutto e tutti. Timido davanti alle telecamere, riservato e schivo, preferiva il campo ai riflettori.
Un uomo di calcio, che il calcio stava per accogliere nel suo olimpo più splendente: con lui, il Liverpool vinse (a cavallo fra gli anni ’70 e gli anni ’80) 6 campionati inglesi, 3 Coppe di Lega, 6 Charity Shields, 3 Coppe dei Campioni (e tutt’ora è l’unico allenatore della storia del calcio ad aver ottenuto 3 affermazioni nella massima competizione europea per club), una Coppa UEFA e una Supercoppa Europea.
Morì il 14 febbraio del 1996, all’età di 77 anni, dopo aver servito per tutta la vita un’unico club, un’unica bandiera, un nico amore. La frase che meglio potrebbe descrivere la sua personalità è sicuramente questa: “This is the second time I’ve beaten the Germans here… the first time was in 1944. I drove into Rome on a tank when the city was liberated” (“Questa è la seconda volta che batto i tedeschi qui. La prima fu nel 1944. Guidai in Roma su un carro armato quando la città venne liberata“).