Torna a far discutere la frase pronunciata da Marchisio in merito alla sua antipatia nei confronti del Napoli, sportivamente parlando. Perché, attenzione, è sempre bene inquadrare il contesto di riferimento: si sta parlando di calcio. Ed è bene ricordare anche quanto detto dal centrocampista bianconero: “Qualche giocatore che mi è antipatico? Non qualche faccia in particolare, ma una squadra, soprattutto dopo le finali ruvide di Coppa Italia e Supercoppa: il Napoli. Quando me li trovo di fronte scatta qualcosa”. Si tratta di una frase che sicuramente avrebbe potuto infastidire i diretti interessati (ne avevano tutto il diritto) e, al massimo, far discutere della cosa in sé, sempre restando in ambito sportivo. Dal diritto di infastidirsi, però, a quello di montare un caso nazionale, c’è di mezzo un abisso. Anche perché, grazie alla lingua italiana, quell’articolo “il” che precede la parola “Napoli” certifica che quelle parole erano rivolte verso la squadra, non verso la città (il che sarebbe stato ben più grave). L’ipotesi razzismo, quindi, si è rivelata infondata.
Così, quella che poteva essere una semplice antipatia dovuta alla rivalità calcistica, si è trasformata in un botta e risposta tra le due società, contornato da ricami vari effettuati da addetti ai lavori ben più navigati di chi scrive in questo momento. Il problema sta proprio in questo: la continua, presunta, volontà, da parte di alcuni giornalisti, di aizzare le masse. Di far sì che queste se le dicano di santa ragione senza che, effettivamente, sia successo nulla. Il fatto è che se una dichiarazione viene semplicemente riportata (come, in teoria, dovrebbe essere), ognuno la giudica in base alla propria coscienza; se, invece, la dichiarazione viene colorita da ipotesi del tutto assurde, è evidente che si vuole indirizzare il lettore verso un certo tipo di ragionamento. Certo, le persone sono in grado di ragionare con il proprio cervello, ma non è detto che questo stile di scrittura non possa influire.
Infatti, è proprio quello che è successo: non solo quella frase ha fatto discutere anche più del dovuto, ma qualche illustre giornalista ha anche teorizzato che una dichiarazione del genere possa dare origine a episodi di violenza. Anche idiozia, aggiungerei, visto che è stata appena creata un’applicazione per smartphone (non faccio il nome per non pubblicizzarla) che consiste nel picchiare Marchisio. Se dovessimo reagire così ad ogni frase sbagliata (non è la prima volta che un calciatore dichiara antipatia verso una squadra), smetteremmo veramente di parlare di calcio. O forse è veramente ciò che maggiormente interessa il pubblico: il calcio parlato, non quello giocato. Forse per abitudine tutta italiana, forse perché si dà più risalto alle chiacchiere che al pallone, ma sta di fatto che questa è la realtà. C’è gente perfettamente informata su episodi arbitrali, dichiarazioni “shock” e quant’altro, piuttosto che, ad esempio, su tattica, statistiche e giovani emergenti.
I punti di riflessione, allora, possono essere vari. Punto primo: se il fatto di dichiarare antipatia verso una squadra di calcio può portare alla violenza, vuol dire che è la mentalità generale ad esser messa male. Per quanto una frase possa dar fastidio, la violenza è sbagliata SEMPRE, e a maggior ragione in ambito sportivo. Punto secondo: se si pensa che determinate dichiarazioni possano sfociare in tutto questo, per quale motivo vengono poste determinate domande o questioni? Per sperare nelle solite risposte a metà tra il falso e il diplomatico? No grazie. A questo punto, meglio evitare proprio certe domande: generano violenza. Punto terzo: visto che c’è già tanta gente che, per inseguire un sogno chiamato “denaro”, ha rovinato il calcio italiano, cerchiamo di non contribuire ulteriormente a questo processo con inutili chiacchiere, polemiche e scontri. Il calcio è spettacolo, e le polemiche fanno parte dello spettacolo. Paradossalmente, siamo arrivati al punto che il calcio fa parte delle polemiche.