L’Italia è il paradiso fiscale per gli sportivi ultra-milionari, a discapito di tutti coloro che hanno deciso di andare a fare fortuna altrove, soprattutto per riempire le proprie tasche. Secondo uno studio di Kpmg, se uno sportivo volesse unire un campionato di alto livello a un’imposizione fiscale non propriamente esagerata, dovrebbe puntare al “Bel Paese”. Un calciatore con uno stipendio di due milioni di euro, infatti, andrebbe incontro al pagamento di 874.000 euro di imposte in Italia, a 876.000 euro in Germania, a 927.000 euro in Inghilterra e a un milione di euro in Spagna.
Al momento, l’unica valida alternativa resta la Francia con i suoi 806.000 euro, a patto che il presidente Hollande non riesca a portare a termine la sua battaglia di fissare al 75% l’aliquota sui redditi milionari (momentaneamente bocciata dalla Corte costituzionale). L’economista Ibrahimovic, dal canto suo, aveva previsto tutto questo, pretendendo che il suo ingaggio faraonico con il PSG fosse al netto dell’eventuale maggiore imposizione fiscale. Tutto nero su bianco, ovviamente.
Dallo stesso studio di Kpmg emerge un dato interessante: i singoli Paesi dell’UE si stanno allineando verso un’armonizzazione delle aliquote. In sostanza, si vuole evitare il continuo spostamento di Paese in Paese solo per cercare una più favorevole imposizione fiscale. Cosa successa in passato in Spagna con la cosiddetta “legge Beckham” (2005, poi abolita) in base alla quale era prevista un’aliquota di tassazione ridotta dal 43% al 24% per i lavoratori stranieri in Spagna con introiti superiori ai 600.000 euro annuali. Legge sfruttata, appunto, da Beckham, da Kakà, e dall’immancabile Ibrahimovic.