Liga: verso Barcellona-Espanyol.Tra calcio, storia e politica
ORIGINI E INIZI
Se fossero solo le battaglie campali su un campo rettangolare a classificare questo derby, l’intera sfida perderebbe molto del suo appeal e del suo fascino. Ma Barcellona-Espanyol, da più di un secolo è molto più di una semplice partita di calcio. Separati fin dalla nascita in casa. Già, ma in quale casa, Catalogna o Spagna? Il club blaugrana, fondato da un banchiere svizzero, Hans Gamper ( poi catalanizzato in Joan Gamper) scelse fin dall’inizio della sua storia di farsi promotore della “questione catalana”, reclamando a più riprese l’autonomia della regione e inserendo nel proprio stemma la croce di Sant Jordi e i colori della bandiera catalana. I cugini biancoblù, invece, nati un anno dopo ( nel 1900) dall’ingegno di tre studenti universitari catalani, non hanno mai nascosto la propria indole filo-spagnola, senza mai al tempo stesso rinnegare le proprie radici catalane. E, a confermare l’idillio tra la seconda squadra di Barcellona e le istituzioni centrali, c’è la concessione, il 25 aprile 1912, da parte del Re Alfonso XIII del titolo di “Real” e dell’utilizzo della corona monarchica nel logo societario. L’identità, in questa infinita lotta tra guelfi e ghibellini, è la chiave dell’eterna rivalità tra i due club.
GUERRA E PACE
Il conflitto civile, Franco e la miseria. Il calcio passa in secondo piano, ma gli animi di entrambe le tifoserie, temprati da anni di lotte intestine, sono in continuo fermento. I tifosi del Barcellona accolgono con favore la promulgazione dello “Statuto autonomo” della Catalogna, mentre buona parte di quelli dell’Espanyol aderisce con entusiasmo a squadre di vigilantes che cercano secessionisti da “convincere”. Corrono gli anni, termina la dittatura, e la cappa che per anni si era abbattuta sull’intera cultura catalana, proibita dal franchismo in quanto ” forza disgregativa e antispagnola”, cessa il suo corso. Gli anni ’70 segnano la rinascita del “catalanismo militante” che di riflesso incide sulle politiche e le scelte di entrambi i club.
I “culè“, nomigliolo che i tifosi del Barça devono al loro precedente stadio e alla visione che i passanti avevano osservando dal basso gli spettatori presenti nell’ex catino di “Les Corts“, sostengono a pieno regime la campagna indipendentista e, tra un titolo e l’altro conteso agli odiati rivali del Real Madrid, pongono sotto i riflettori temi di natura geo-politica. I Pericos resistono allo strapotere dilagante dei cugini e tirano avanti tra una stagione tribolata e l’altra. La connotazione politica legata a questioni sociali è molto meno marcata e sentita nell’Espanyol; in primis per gli scarsi risultati (confrontati con quelli dei rivali) sul campo, ma anche per questioni meno frivole e maggiormente legate ad aspetti poco conosciuti, ma ugualmente interessanti. L’eterogeneità di pensiero dei tifosi, e soprattutto la provenienza geografica degli stessi (molti dei quali immigrati dell’Andalusia o appartenenti alla burocrazia castigliana trasferitasi in Catalogna), hanno da sempre caratterizzato la natura e le inclinazioni del tifo blanquiazul.
Cruijff, Hristo Stoichkov, Laszlo Kubala e Terry Venables, oltre a incantare sul campo, stregano la gente del Barcellona per il loro legame con la terra catalana. Johan Cruijff, prima calciatore e poi allenatore del Barcellona ( e fino all’anno scorso della nazionale catalana), definirà il Barcellona “l’esercito disarmato dell’intera Catalogna“. I rivali cittadini si tengono stretto il “Sarrià” e ottengono la finale di Coppa Uefa, poi persa in modo rocambolesco contro il Bayer Leverkusen. Viene coniato lo slogan “La forca d’un Sentiment“, per il senso di appartenenza e la fede incondizionata dimostrata negli anni dagli “aficionados” biancoblù nei confronti della propria squadra. Nella buona e nella cattiva sorte. In perenne lotta contro i media catalani, le istituzioni locali e la storia.
SENTIMENTO E PASSIONE
Trionfi e fuoriclasse da una parte, appartenenza fideistica e orgoglio dall’altra. Trovare un punto di contatto tra queste due realtà è pressoché impossibile. Si sceglie la fazione, con il cuore. Il resto è passione. Sofferenza o gioia. Dipende dal campo.
Nel 1995, neanche il nuovo cambio di nome, fortemente voluto dal presidente Daniel Sanchez Llibre, o dall’altra parte la gestione fortemente improntata al veicolare messaggi indipendentisti sfruttando la cassa di risonanza del calcio, e la successiva candidatura politica del presidente Laporta, non hanno intaccato la genuinità e la rivalità sportiva ultracentenaria che accompagna il match. Divise da un mondo, ma unite nella tragedia.
Daniel Jarque, capitano e canterano dell’Espanyol, muore a Firenze nel 2009 a seguito di un arresto cardiaco. L’incondizionata solidarietà tra club e tifoserie,cancella gli scontri dell’ultimo derby disputato al “Montjuic”. Giorni nostri, storie vecchie. La dirigenza espanyolista costruisce il nuovo stadio, “Cornellà el Prat“; il Barcellona di Guardiola frantuma record su record, vincendo campionati e Champions in serie, incantando il mondo a suon di gol e magie di Messi. Ci sarebbero anche la finale persa a Glasgow ai rigori contro il Siviglia, e i due titoli ( Coppe nazionali del 2000 e del 2006) dell’Espanyol, trascinato dalla bandiera Raul Tamudo e conquistati con incredibili cavalcate e contro qualsiasi pronostico. Ma questa però – soprattutto per chi ha scelto di fare l'”indiano” in Catalogna – è un’ altra storia.