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Da Ferrara a Maradona: quando il campione si siede in panchina…

Dal campo alla panchina si sa, il passo è breve. Sono moltissimi i calciatori che, appesi gli scarpini al chiodo, scelgono di restare nel mondo del calcio come allenatori. A volte grandi campioni si confermano tali anche in panchina, altre volte il giochino non riesce.

Un grande ex calciatore fresco di esonero è Ciro Ferrara. L’ex pilastro delle difese di Napoli, Juventus e nazionale stenta a far decollare la sua carriera da allenatore: dopo la fortunata esperienza nel 2006 come braccio destro di Lippi sono arrivati gli esoneri con Juventus e Sampdoria, intervallati da una discreta esperienza come CT dell’under 21. Chi invece sta convincendo nelle sue prime stagioni da allenatore è Vincenzo Montella. L’aeroplanino (più giovane di un anno di Javier Zanetti) ha iniziato a studiare da allenatore il giorno dopo aver smesso di giocare, e oggi è stimato da tutti per il lavoro svolto a Roma, Catania e Firenze.

Alcuni allenatori si portano dietro una parte del loro modo di giocare a calcio, altri sembrano invece rinnegarlo. Come non vedere analogie tra Pep Guardiola (centrocampista tutto tecnica e geometrie) e il suo leggendario Barcellona? Oppure, come non vedere nella grinta della Juventus di oggi il carattere del mastino Antonio Conte? Curioso invece come un regista di fantasia e tecnica come Fabio Capello abbia fondato le sue fortune da tecnico su difese e centrocampi granitici, preferendo spesso la corsa e la grinta a quelle che furono le sue doti da calciatore. Discorso analogo per Roberto Mancini: anarchico e spettacolare da giocatore, quadrato e concreto da allenatore.

Spesso chi conquista i cuori da calciatore sembra potersi permettere di bruciare le tappe da allenatore più rapidamente degli altri. Questione di immagine per le società, che incontrano quasi sempre la benedizione delle tifoserie, entusiaste di avere in panchina un loro idolo. Per questo un Diego Armando Maradona completamente a secco di esperienza da allenatore venne accolto con un tripudio dall’intera Argentina quando gli venne affidata la nazionale di Messi in vista dei mondiali 2010. Nemmeno la figuraccia rimediata nella competizione convinse il popolo argentino che forse il Maradona allenatore non vale il Maradona calciatore. Diego è Diego, e non si discute. Ci sono invece rari casi in cui giocatori decisamente mediocri riescono a conquistare un posto nell’olimpo del calcio grazie alle loro imprese da allenatori. Nel 1987 un ventiquattrenne José Mourinho abbandona il calcio giocato dopo una breve e poco soddisfacente carriera da difensore nelle serie minori portoghesi. Oggi può vantare di essere uno dei quattro allenatori (insieme a Trappattoni, Happel e Ivic) ad aver vinto il campionato in quattro paesi europei diversi, e di essere stato il terzo (dopo Happel e Hitzfeld) ad aver vinto la Champions League con due squadre diverse: Porto e Inter.

Sono solo alcuni esempi, è impossibile indicare in un solo articolo tutti i casi di giocatori diventati poi allenatori: da Allegri a Rijkaard, da Mazzarri a Cruijff: tutti casi esperienze più o meno fortunate. Se diverse sono state le storie e i destini dei personaggi che abbiamo citato in questo editoriale tutti hanno in comune una cosa: una vita dedicata al calcio, di corsa prima e in piedi a sgolarsi per 90 minuti poi.