La Libreria di MP: “Il romanzo del Vecio” di Gigi Garanzini

A quasi due anni dalla data della sua scomparsa, avvenuta il 21 dicembre del 2010, ci piace ricordare Enzo Bearzot attraverso questo bel libro che ancora è facilmente reperibile sia nelle librerie sia on line. Il tempo trascorso dalla sua pubblicazione infatti è servito ad ammantare di ulteriore fascino quello che potrebbe essere definito un “classico” della letteratura sportiva italiana – e magari, per chi cercasse suggerimenti per i regali, anche un buon acquisto natalizio.

L’autore è Gigi Garanzini, giornalista sportivo tra i più noti e la forma scelta è quella dell’intervista. Ma ciò che più conta, è lo spessore umano dell’io narrante, Enzo Bearzot, che da voce non ad un semplice compendio di vicende e aneddoti ma ad un vero e proprio romanzo, una cronaca del Novecento che, mentre racconta decenni di carriera del protagonista, prima da onesto calciatore e poi da commissario tecnico che fu Campione del Mondo, lascia affiorare il richiamo di altri tempi e permette di intravedere quelle doti caratteriali che sembrano scolpite nella pietra del viso.

Schiaffino, Sivori, Liedholm, Valentino Mazzola, Di Stefano – che per Bearzot, fu il più grande di tutti – , perfino Piola, gli avversari incontrati sul campo da gioco. Una sola partita come calciatore in Nazionale, ma giocata marcando, da mediano, il leggendario Ferenc Puskas. Ricordi evocati nella conversazione, mettendo in fila gli anni come gli anelli di fumo della sua pipa, lontani eppure densi.

Friulano doc, legato alle proprie radici ed amante del Jazz (“La partita è come un pezzo di jazz. Giocane finché vuoi, suonane quanti vuoi, nessuna interpretazione sarà mai identica a un ‘altra. “West and Blues” è diverso da “Tiger Rag”, il Brasile è diverso dall’Inghilterra. E chi suona, così come chi gioca, non può non tenerne conto”), Bearzot legò il suo nome all’Italia del “catenaccio e contropiede”. Una filosofia di gioco che oggi viene vista come un affronto allo spettacolo (e al pubblico pagante delle pay per view), ma che in altri tempi evocava battaglie tattiche, arti militari da rettangolo verde e improvvise esplosioni di gioia, come quando il 5 luglio 1982, allo stadio Sarriá di Barcellona, lo stratega Davide riuscì a battere il gigante Golia (che in quell’occasione vestivano di azzurro il primo e di verdeoro il secondo).
L’altro pilastro del credo di Bearzot era il gruppo – ovvero, per dirla con il suo vocabolario, gli interpreti. Una volta ammessi nell’orchestra – cosa che ad esempio non riuscì, per motivi diversi, a Franco Baresi, Pruzzo, Massaro e Roberto Mancini – bisognava saper costruire l’affiatamento giusto. E soprattutto, sapersi fidare, assicurandosi un mutuo soccorso, in campo e fuori. Bearzot non manca di parlare del rapporto instaurato coi giocatori (come Tardelli e Bruno Conti, chiamati i “coyotes” per l’ insonnia che li accumunava al ct) e lo fa raccontando sia i calciatori sia gli uomini dietro ai calciatori (“Qualcuno ha scritto che per Paolo Rossi ho rischiato la vita. Semmai la carriera, e già mi sembra che ci sia una bella differenza. Ma non so che darei per tornare indietro, solo per il gusto di poterlo rifare”).

Un film intenso, con tutto il fascino del bianco e nero d’epoca, dove il vecchio protagonista, mentre negli anni ’80 lo spettacolo diventa a colori, piazza il suo ultimo colpo di coda, il migliore. E poi si ritira, lasciando ad altri, come il poco amato Sacchi, il compito di accompagnare il nuovo secolo che avanza. La generazione di Bearzot, ormai aveva già dato. E tanto.

“Il romanzo del Vecio – Enzo Bearzot, una vita in contropiede” di Gigi Garanzini, Dalai Editore