Il calcio ci ha sempre abituati a storie bizzarre, quasi incredibili da credere. A volte belle, altre volte un po’ meno, altre ancora lasciano semplicemente senza la possibilità di esprimere un giudizio, positivo o negativo che sia. Una di queste è la storia di Johan Vonlanthen, giovane promessa del calcio che ha deciso di abbandonare una vita di successi e soddisfazioni per dedicarsi alla vita religiosa. Forse era questo il suo destino. O forse, per persone come lui, il successo e la soddisfazione sta proprio in questo.
Johan Vonlanthen nasce in Colombia, Paese in cui inizia ad assaporare il calcio. Quello più vero e genuino, praticandolo per strada con gli amici. A 8 anni, però, la sua vita cambia completamente: la mamma divorziata decide di trasferirsi in Svizzera per seguire il suo compagno (che poi diventerà il suo secondo marito) dal quale Johan acquisirà proprio il suo cognome. Vonlanthen inizia a praticare il calcio nella squadra Flammat, dove per un anno ha ricoperto il ruolo di portiere prima che il suo allenatore si accorgesse che il ragazzo aveva decisamente più qualità con i piedi. 28 gol durante il suo primo anno da attaccante, al quale ne seguirono molti altri che attirarono l’attenzione di grandi club.
A 15 anni il primo grande salto: firma un contratto con gli Young Boys con i quali resterà due anni, prima di trasferirsi in Olanda nel PSV Eindhoven. Acquisita la nazionalità svizzera, inizia il suo cammino in nazionale che raggiunge il suo punto di arrivo con la convocazione agli Europei in Portogallo. Non tarda a farsi notare anche lì: con il gol realizzato alla Francia, diventa il più giovane marcatore di sempre nella storia degli Europei, strappando il record nientemeno che a Wayne Rooney.
Da quel giorno Vonlanthen inizia a disinteressarsi del calcio: dopo brevi parentesi a Brescia, in Olanda, Svizzera e Austra, inizia ad avvicinarsi alla religione avventista. Poi l’episodio che gli cambiò definitivamente la vita: Vonlanthen, visto il suo carattere, era spesso in contrasto con i suoi allenatori e con i suoi compagni di squadra. Un giorno gli telefonò una sua amica che gli disse di essere preoccupata per lui perché aveva sognato i contrasti con la sua squadra. “Come faceva quella ragazza a sapere cosa stava succedendo nello spogliatoio? Mi ha detto che è stato il Signore ad apparirle in sogno e a farle vedere tutto. E non può essere stato altrimenti“, rivela il giocatore.
Inizia così il suo cammino religioso, regalando ai bisognosi i suoi guadagni calcistici, fino al momento in cui decide di abbandonare definitivamente il calcio: per la religione avventista, il sabato è un giorno sacro, e non è possibile giocare a calcio. L’unica squadra disposta ad accettare questa sua situazione è stata l’Itagui, società colombiana. Vonlanthen torna così nel suo Paese d’origine ma, causa anche un infortunio al ginocchio, decide di appendere gli scarpini al chiodo e dedicarsi alla sua nuova vita.