L’episodio avvenuto qualche giorno fa all’interno del Luigi Ferraris di Genova ha fatto sorridere molte persone. Non capita sovente, in Serie A, di vedere il settore ospiti completamente vuoto, popolato soltanto da un coraggioso tifoso. Non appena ravvedute dell’accaduto, entrambe le squadre hanno deciso di premiare questo coraggioso supporter, giunto in Liguria per seguire i suoi beniamini nonostante fosse lunedì sera.
Questo, se permettete, non è il calcio che voglio. Non è il calcio che sono sempre stato abituato a vedere in Italia, la patria del pallone per eccellenza, dove i biglietti per le partite erano introvabili, a meno di non essere disposti ad aspettare per lunghe ore ai botteghini. Le pay-tv hanno sicuramente portato il calcio nelle case di tutti (o quasi), ma fondamentalmente hanno svuotato l’habitat naturale di ogni partita: lo stadio.
Lo spezzatino di incontri a cui stiamo assistendo in queste settimane, con gli incontri che vengono distribuiti dal venerdì al martedì successivo, ha del ridicolo: magari non dal punto di vista commerciale, ma pensare soltanto che i tifosi possano mettersi in viaggio di lunedì o martedì sera, è assurdo. Con il passaggio a venti squadre, l’introduzione dei turni infrasettimanali è stata una scelta praticamente obbligatoria, ma spalmare ogni singola giornata di Serie A su 4-5 giorni non può diventare la regola. Le persone lavorano e, soprattuto, hanno pensieri più importanti di una partita di calcio: prima, però, nei weekend ci si poteva distrarre andando allo stadio, magari con i propri amici oppure in famiglia, adesso non più.
Già, la famiglia: una categoria che sta letteralmente sparendo dagli stadi, per colpa di chi, invece, preferisce vendere abbonamenti satellitari piuttosto che emozioni. Diciamocela tutta, vedere la partita dal divano sarà pure comodo, ma a livello di coinvolgimento e di interazione sociale non è nulla di lontanamente paragonabile con un incontro visto dalla curva o dalle tribune.
L’introduzione della tessera del tifoso, poi, ha avuto esattamente gli effetti contrari rispetto a quelle che erano le intenzioni iniziali: si dovevano allontanare i delinquenti dagli stadi, identificando ogni essere umano desiderasse accedere alla struttura per risalire ai colpevoli. Il risultato? Trasferte impossibili per la maggior parte delle persone comuni, che non hanno tempo da perdere con la burocrazia lenta prevista per poter entrare in possesso della tessera del tifoso; forse gli incidenti saranno anche diminuiti (e questo è sicuramente positivo), ma a che prezzo? A questo punto tanto valeva far giocare tutti a porte chiuse, per eliminare il problema alla radice: chissà che non ci abbiano pensato ai vertici della FIGC; o magari si potrebbe emulare il modello inglese, dove lo stadio è una vera e propria oasi, per bambini, adulti e anziani.
Per avvalorare ciò che sto dicendo, non più di tre anni fa mi è capitato di recarmi a San Siro per assistere alla partita Inter-Genoa: settore ospiti letteralmente assalito da tifosi rossoblù, quasi come se fosse un derby, con le curve divise a metà. La vicinanza geografica ha sicuramente influito in questo senso, ma vedere 5-6 mila tifosi recarsi in trasferta per seguire la propria squadra del cuore, prima, non era così raro.
Quest’anno, invece, in ben tre apparizioni al Meazza, i tifosi ospiti non hanno mai superato il centinaio di unità. Palermo e Cagliari sono sicuramente città molto lontane, ed è ampiamente giustificata questa ‘assenza’ da parte dei tifosi; la Sampdoria, però, conta una tifoseria fedele e numerosa, eppure i tifosi che si sono presentati allo stadio erano pochi lo stesso. Non pochi di meno rispetto a prima, pochi in senso assoluto.
E’ il momento di fare un passo indietro: non si risolve il problema della delinquenza svuotando gli stadi con tessere e spezzatini. Anche perché le tessere, noi tifosi, siamo sempre stati abituati a inserirle nei decoder, non a esibirle ai botteghini.