Copa Sudamericana: se questo è calcio…
C’erano da onorare la prima finale internazionale dopo 83 anni di storia del Tigre, il commiato di Lucas, da gennaio giocatore del Paris Saint Germain e una finale di Copa Sudamericana. Di fronte un club brasiliano e uno argentino. La storia calcistica del Sudamerica in novanta minuti. Tigre contro São Paulo, Davide contro Golia. C’erano le schermaglie della vigilia che aleggiavano su questa sfida di ritorno, oltre alle dichiarazioni al vetriolo di dirigenti e calciatori, la pressione dei media e il peso della gara. Abbiamo assistito per un tempo a una gara di calcio pressoché dominata dalla compagine paulista, avanti per 2-0 con reti di Lucas e Osvaldo e in totale controllo del pallone e della sfida. La narrazione calcistica di questa gara, forzatamente stringata, termina qui. Ora comincia il racconto, la cronaca della indegna gazzarra verificatasi negli spogliatoi del “Morumbi”.
L’arbitro cileno Enrique Ossas, uno dei migliori fischietti del continente, ha appena fischiato la fine della prima frazione di gioco. Dopo un finale di tempo teso, con una caccia all’uomo degli argentini che ha provocato scontri e gialli, le due squadre si avviano verso gli spogliatoi. Gorosito vede l’intervallo come l’ultima spiaggia per ricaricare le pila dei suoi uomini in vista della ripresa, Ney Franco deve solo cercare di infondere tranquillità e fiducia ai suoi ragazzi. A questo punto, però, succede di tutto. Saltano le luci dello spogliatoio argentino, ma non per un “normale” ( ricordate il Superclasico di “Resistencia” rinviato dallo stesso arbitro cileno qualche mese fa?) black out energetico, ma per la volontà degli addetti alla sicurezza ( si, alla sicurezza) del “Morumbi”, coadiuvati secondi alcuni dalla polizia brasiliana. La follia entra prepotentemente in questa finale. Uomini armati di manganelli, pistole e oggetti contundenti vari danno inizio a una caccia al giocatore del Tigre degna delle peggiori campagne persecutorie della storia. Al portiere del “Matador” Albil viene puntata la pistola in faccia; Galmarini, Botta, Borelli e il tecnico Gorosito vengono colpiti ripetutamente , minacciati di morte, derisi. Un cameraman della tv brasiliana riprende tutto, ma nega l’accaduto. Passano i canonici 15 minuti d’intervallo, ma sul prato verde i protagonisti in campo sono solo undici. Entrano successivamente Osses e i suoi assistenti, ma non il Tigre.
Che si fa si domandano in molti. Ci sono i fuochi d’artificio, 80000 persone in delirio e un cerimoniale da rispettare. Dolore e gioia scandiscono lo scorrere del tempo, ma non alleviano i rancori. Lo speaker finalmente rompe gli indugi, annuncia il ritiro degli argentini e la vittoria brasiliana.
Tutto prosegue in modo convenzionale. C’è la premiazione. I dirigenti e i calciatori del Tigre parlano dopo la tempesta, gonfi di rabbia e di botte. Alcuni sanguinanti. Albil dice che “era un’imboscata organizzata“, Borelli, ex calciatore e ora assistente di Gorosito, rimane prima basito e poi si scaglia contro l’intera squadra brasiliana: “Se fosse partito uno sparo e ci fosse stato un morto? Non è successo per caso. Ho giocato su molti campi di periferia, ma una cosa così non l’avevo mai vista“. Al coro degli indignati si aggiungono anche Nestor Gorosito e Sergio Massa, che definisce “una pagina vergognosa per l’intero calcio brasiliano” l’accaduto. Il Tigre ha già preannunciato di aver scelto le vie legali per denunciare i misfatti di ieri sera. In attesa di un colpo battuto dalla CONMENBOL, la dirigenza e i calciatori del São Paulo si sono espressi così. Rogério Ceni: “Il Tigre è venuto qui per picchiare, non per giocare, ma non so cosa sia successo negli spogliatoi”; Ney Franco (allenatore San Paolo): “Tutta una messinscena del Tigre, codardi e maleducati”; Lucas: “Abbiamo meritato sul campo il titolo, il resto non mi interessa“. Dopo questo “blob” di cattivo gusto, non viene in mente che una frase: se questo è calcio. E il “Futebol é paixão” (ovvero il calcio è paesaggio) tanto caro ai brasiliani, lascia per una serata spazio solo alla vergogna.