Esistono allenatori che non cambiano mai, gente sulla cui sorte scommetteresti ad occhi chiusi. La questione non dipende dalla forza di una squadra o dell’altra: smentire se stessi, ad un certo punto della carriera, per alcuni è proprio impossibile. Tali soggetti, spesso, sfavillano nei primi anni e poi beneficiano del credito accumulato per troppo tempo. A volte è la stampa ad esaltarli senza tener conto degli effettivi risultati; a volte, invece, è l’amicizia con addetti ai lavori che contano. Non c’è bisogno di fare i perbenisti: tutti sappiamo come funzionano certe cose nel calcio.
Per tante stagioni mi sono divertito a tenere il conto dei fallimenti di Alberto Malesani, un tecnico che da una dozzina di anni colleziona esoneri e retrocessioni. Dopo la bella avventura alla guida del Parma, formazione comunque fortissima che poteva ottenere ben altro, il 58enne non ne ha più azzeccato una. Solo la salvezza con il Bologna, peraltro tribolata, e un secondo posto in Grecia con il Panathinaikos, praticamente la Juventus ellenica. Verona, Modena, Empoli, Siena hanno conosciuto tutte lo stesso epilogo: partenza sprint e poi discesa inesorabile. Eppure, al contrario di molti colleghi, Malesani un posticino lo trova sempre. Stessa cosa si potrebbe dire per Silvio Baldini, Guido Carboni, Bruno Giordano e via discorrendo.
Ora, focalizzando l’attenzione sull’attualità, Ciro Ferrara a parte, apro una parentesi su Serse Cosmi. Una persona buona e simpaticissima, l’artefice del “Perugia dei miracoli”, un mister che ho voluto analizzare profondamente per cogliere i motivi dei suoi ultimi insuccessi. Dopo le soddisfazioni in terra umbra, culminate però con una retrocessione, e le sufficienti parentesi in serie cadette con squadre importanti come il Genoa e il Brescia, Cosmi ha fallito gli obiettivi con Udinese, Livorno e Lecce. In tutti i casi, similmente a Malesani, l’avvio col botto non è mai mancato. Perché? Merito, o colpa direi, di una preparazione estiva “leggerina” e di una riluttanza profonda a modificare l’undici titolare. Fateci caso: da un certo punto in poi, le sue formazioni sono sempre le stesse. Se guardiamo al Siena, ci accorgiamo che Vergassola e compagni cominciano già a correre di meno e, non a caso, nelle ultime due partite i bianconeri hanno subito altrettanti ribaltoni nella ripresa. Certo, direte voi, gli capitano sempre imprese disperate. E’ vero, però i dati non mentono.
Che il mio sia un tentativo di gettare fango gratuitamente su alcuni prescelti? Tutt’altro. E’una semplice analisi, come se ne fanno tante, su una materia (il calcio) poco scientifica e poco assoluta ma potenzialmente più capibile con i numeri e i dati di fatto. E’anche la volontà di dissentire da un sistema che, così come nella vita quotidiana, premia i suoi figliocci e tralascia chi magari un premio lo meriterebbe davvero. Come sempre, chiudo il mio editoriale con una domanda: perché chi vuole salvarsi si affida a gente che ha la retrocessione, e il crollo nelle parti centrali e conclusive del torneo, nel proprio dna?