Guarda chi si rivede…
Lacrime e sorrisi, festeggiamenti, tappi che saltano in aria, spumanti che riempiono bicchieri, e poi abbracci, e baci, e frasi di circostanza. Nella Torino dallo spirito bianconero c’è aria di grande festa per il ritorno in panchina di Antonio Conte. Si è detto e scritto tanto riguardo alla sua posizione, legata a l’ennesimo scandalo che ha coinvolto di recente il mondo del calcio e di cui non se ne vuole, no, proprio più parlare. Io stesso provai a buttar giù qualche riga un po’ di tempo fa, spiegando come la Giustizia italiana stesse oramai, secondo il mio modestissimo parere, diventando alquanto dozzinale nel modus operandi. Tanti tribunali che decidono cose diverse, mille pesi e mille misure, e ovviamente la palese dimostrazione che un’accusa… non ha mai pienamente ragione.
Voglio sottolinearlo: anche stavolta, come per l’editoriale sopra linkato, non voglio mettere in discussione l’innocenza o meno del signor Conte; non è compito mio. Ripeto, un’idea me la sono fatta, sia sul suo conto che su quello di tutti gli altri indagati, ma non spetta a me, né spetta a coloro che si dilettano a scrivere su questo meraviglioso sito, giudicare e stabilire l’innocenza o la colpevolezza di uno dei più bravi allenatori italiani. Ciò che continuo, e continuiamo, e continueremo ad accusare, invece, è la mancanza di chiarezza, la poca fermezza di chi di dovere, che piuttosto che infliggere pene esemplari, dà un colpo al cerchio e uno alla botte, vivendo nella clamorosa “certezza del dubbio”, nella nebbia, in quella nebbia nella quale sagome di verità e menzogne si mimetizzano e mescolano grazie all’estro di chi è assoldato per difendere e sciogliere anche le colpe più vere.
A ogni modo, questo è un discorso che, seppur ritengo giusto e mai fuori luogo, adesso – in fin dei conti – lascia il tempo che trova. Conte la sua pena, dimezzata, l’ha secondo i giudici scontata, e adesso torna bello e fiero a guardia, difesa e attacco della sua Juventus. Ritrova la Vecchia Signora arzilla e in testa in campionato, qualificata come prima in Champions League, ma non più imbattuta. Certo, avere avuto in panchina Carrera prima, Alessio poi, può aver un po’ confuso la testa ai giocatori (da qui, magari, le sconfitte rimediate, chissà…), giocatori che tra l’altro in settimana, Conte, l’hanno visto tutti i giorni lì, al campo di allenamento, urlare e sbracciarsi per imporre i suoi dettami tattici, i movimenti, le strategie.
Dunque, la sua asseza, diciamolo senza troppi giri di parole, c’è stata, sì, ma solo in panchina, e questa è una cosa scontata, ovvia, che tutti sanno e hanno incredibilmente accettato. In settimana c’era, la domenica no. In settimana aumma-aumma allenava, la domenica andava in tribuna, come un qualsiasi spettatore di lusso. Poi… si purifica e torna dopo che ha pagato il suo conto con la giustizia; trovando, come si diceva, la sua Juve lì dov’era quando l’ha lasciata, con qualche colpo in più, ma sempre prima, làssù, e sempre lanciata verso grandi traguardi.
A questo punto, si traccia la linea e si tirano le somme. Con la domanda che sorge spontanea: ma questa benedetta “punizione”, questa “pena da scontare”, è stata scontata per davvero? Ditemelo voi, perché a me sembra che il tutto si sia risolto a pizza e fichi, o tarallucci e vino, magari a barbera e champagne. Avrei preferito, giuro, che all’epoca della sentenza i giudici avessero pronunciato un sincero “Non sappiamo se Conte è colpevole: in dubio pro reo, e nessuna punizione”. Davvero: nessuna punizione. Sarebbe stata, tale sentenza, più onorevole. Lo sarebbe stato per tutti: per lui, che avrebbe contribuito ad alleggerire una farsa epocale e sarebbe rimasto alla guida della squadra anche la domenica; per la Juve, che non avrebbe dovuto trovare sostituti del finesettimana; e per noi, appassionati del Pallone, disciplina che ogni tanto, secondo qualcuno, diventa anche un mezzo per prenderci per i fondelli.