Una notizia drammatica, resa ancora più agghiaccante dall’identità degli assassini: non stiamo parlando, infatti, di ultra, ma bensì di calciatori giovani di soli 15 anni. L’Olanda è rimasta scossa dall’episodio e l’opinione pubblica sta cercando in queste ore di darsi delle risposte. Frank Deboer, un’icona del calcio “orange”, ha commentato: “Non si può immaginare che succeda, che ragazzi di 15, 16 anni arrivino a tanto. Bisogna fare qualcosa perché questo è davvero troppo“.
Il fatto che sia accaduto lontano dai nostri confini non deve lasciarci indifferenti e può permettere delle riflessioni importanti. Sui campi sempre più spesso si nota una cattiva educazione, impartita dai genitori ai propri figli; la terna arbitrale viene rappresentata come il male, come la principale causa delle sconfitte e si concede la piena libertà ai giovani calciatori di poter insultare l’arbitro di turno anche con frasi pesanti. Pure il rispetto dell’avversario si è perso con il tempo. Capita con frequenza di vedere il genitore che da una parte si adira per qualche innocente critica sulla prestazione del proprio figlio, e poi dall’altra non risparmia insulti e parolacce verso gli avversari o nei confronti dell’arbitro.
Un problema di mentalità che va cambiato alla base, riportando il calcio e lo sport in generale ai principali valori di lealtà sportiva, senza esasperare con eccessi di agonismo. L’omicidio del guardalinee è un gesto estremo, ma le aggressioni ad arbitri o le risse nel corso di partite di settore giovanile non sono poi così rare. L’atmosfera che si respira sulle tribune nel corso di match di allievi o giovanissimi è chiaramente lontana da quella di alcuni stadi italiani, eppure ci sono dei comportamenti di alcuni adulti che convincono nella necessità di far giocare determinate partite a porte chiuse per permettere a questi ragazzi di non subire la pressione negativa dall’esterno e giocare con il principale scopo di fare del sano sport all’aria aperta con i propri coetanei.