È stata, soprattutto, la stracittadina della normalità. Qualcuno storcerà il naso, perché è cambiato quasi tutto: Del Piero non gioca più, ai tempi degli ultimi derby la fantasia granata era quella di Rosina, ci sono sede e contesti nuovi.
Normale, dicevamo: per il dizionario di Tullio De Mauro, linguista principe nel nostro paese, “conforme alla norma rispetto a parametri determinati”. Ebbene, in tutto il mondo i derby sono così. Chi gioca in casa, lo fa per davvero, col suo stadio, i suoi tifosi che occupano più di tre quarti di impianto. E quelli avversari (i “cugini”, non ditelo però a Torino!) stipati in uno spicchio davvero piccolo, come la norma prevede. La costruzione dello stadio di proprietà, fiore all’occhiello dell’attività recente della società bianconera, riallinea grossomodo il calcio italiano agli altri paesi dell’elite continentale: se l’Everton gioca in casa, i tifosi del Liverpool si spostano a Goodison Park, magari mentre l’Espanyol ospita il Barça in quel gioiello che risponde al nome di Estadi Cornellà-El Prat.
Nei giorni di avvicinamento a Juventus-Torino, gli addetti ai lavori si sono dilungati in discorsi e analisi sul grado di concentrazione pre-Champions che Buffon e compagni avrebbero dovuto mantenere. Vero che il Toro non vince dal 1995, però la memoria va a Sissoko (“i veri derby per noi sono quelli con l’Inter”), al divario di classifica e ambizioni e al rango di neopromossa della compagine di Ventura. Questi discorsi, per chi scrive, lasciano sempre il tempo che trovano, perché nonostante obiettivi stagionali diversi i calciatori di Toro e Juve abitano la stessa città, vivono e respirano le sensazioni con cui i loro tifosi riempiono e colorano i rispettivi stadi (plurale, repetita juvant).
Nel match di ritorno, allora, il Torino potrà tentare di rendere il favore all’ingombrante vicino di casa, trasformando l’Olimpico in un tempio granata che sia il meno ospitale possibile per chi s’è trasferito altrove. Sull’onda magari della non recentissima richiesta di “granatizzazione” dell’ex Comunale (già Comunale Vittorio Pozzo e Municipale Benito Mussolini), impianto ancora di proprietà comunale ma casa soltanto di un club, ad oggi.
Tutto il resto, in sede di cronaca e commento, lo lasciamo a chi se ne è occupato. È stata partita vera sino all’espulsione di Glik (un intervento fuori luogo, contro la capolista), perché poi chi ha budget, gioco e organico maggiori ha prevalso: poco spazio per le discussioni. Vuoi mettere però giocare “in casa” anche nei derby?