Fair Play: etica ipocrita e pubblicità ingannevole
“Saranno squalificati coloro che avranno comportamenti antisportivi al fine di avere un vantaggio“: recita così, in estrema sintesi, una parte dell’articolo cinque del codice di comportamento UEFA. É questa la norma che avrebbe infranto Luiz Adriano, diventato famoso nel pianeta calcio per il gol segnato in Champions League contro il Nordjælland. Il calciatore brasiliano, infatti, invece di restituire palla agli avversari, si è involato verso la porta segnando la rete del pareggio per la propria squadra. Una grave mancanza di rispetto nei confronti degli avversari, che va contro al concetto di fair play, così inflazionato negli ultimi tempi.
La UEFA, quindi, per evitare che si ripetano queste spiacevoli situazioni, ha deciso di squalificare il calciatore per aver infranto una norma generale che può voler dire tutto o nulla. Si parla di vantaggio: bene, ma cosa si intende davvero? Nel calcio sono già accaduti decine e decine di casi simili, con squadre che non hanno restituito il pallone agli avversari. Magari non hanno segnato, ma è comunque un vantaggio, perché invece di difendere la propria porta, si trovano in una situazione offensiva. Per quale motivo non sono stati squalificati?
Simulare in campo è un comportamento antisportivo? Certo. Fermare un contropiede non crea un vantaggio? Altrettanto. Quindi perché non squalificare anche le decine di calciatori che, ogni giornata, per perdere tempo e impedire agli avversari di ripartire, si accasciano a terra al primo calcetto rifilatogli? A maggior ragione se, poi, dopo un po’ di spray magico, gli stessi ‘infortunati’ tornano a correre più velocemente di prima.
Se la UEFA vuole davvero adottare questa politica così fiscale e severa, allora bisogna punire tutti, dal primo all’ultimo, non soltanto i casi limite. Perché come mi ha ricordato il nostro Gaetano Allegra, allora l’arbitro sarebbe l’unico, per regolamento, ad avere la competenza di fermare il gioco. Quindi squalifichiamo anche tutti i giocatori che, sportivamente, buttano la palla fuori: è un’interruzione di gioco volontaria e non voluta dall’arbitro, dato che il direttore di gara avrebbe avuto tutti gli strumenti per farlo, se avesse voluto fermare davvero il gioco.
Questa tendenza va sempre più accentuandosi negli ultimi minuti di gioco, quando i giocatori della squadra in vantaggio si rendono protagonisti di svenimenti al primo contatto, o di crampi che rendono loro impossibile continuare la partita. Siamo sicuri che se la squadra fosse stata sotto nel punteggio, gli stessi ‘attori’ avrebbero lamentato qualche malessere fisico? Io dico di no, al massimo sarebbero usciti dal campo, ma senza spezzettare il gioco.
Sempre seguendo questo ragionamento, torniamo per un attimo al caso che tanto ha fatto discutere nella scorsa stagione: Milan-Juventus, Buffon raccoglie la palla ben oltre la linea di porta sul tiro di Muntari. Ne è consapevole, perché si rende perfettamente conto di quale sia la posizione, ossia sulla linea con le braccia ampiamente distese dentro la porta, ma non dice nulla all’arbitro e quindi trae vantaggio da un suo atteggiamento antisportivo. Per questo motivo sarebbe da squalificare? Secondo il regolamento UEFA sì, per la FIGC no, ma non è sempre calcio?
È necessario, quindi, introdurre al più presto una norma che regolamenti la materia, che dia ampi poteri agli arbitri – magari aiutati dalla tecnologia, ma questa è una battaglia persa, per il momento – per decidere all’interno del rettangolo di gioco. Altrimenti il concetto di fair play, così tanto inflazionato dai dirigenti UEFA, non è nient’altro che pubblicità (ingannevole) per sfruttare un valore che nel calcio professionistico sta venendo sempre di più a mancare.