Home » Ti amo, campionato. Ma…

Impossibile che nessuno la conosca. Impossibile che nessuno, nel corso della sua vita, non abbia sentito perlomeno una volta qualcuno riferirsi alle parole di “Elio e le storie tese”, che cantavano un ironico e scoppiettante “Ti amo campionato”. Erano altri tempi, il vecchio millennio stava per salutare, e in campo c’era un solo arbitro, coadiuvato dai due assistenti. Era un calcio diverso, soprattutto in Italia; forse c’era più fascino, perché c’erano campioni il cui calibro oggi è difficile da riscontrare nella nostra Serie A (per motivi di cui si è discusso e ridiscusso, e che non è il caso tirare in ballo adesso).

A ogni modo, anche allora di errori ce ne erano: anche grossolani, alcuni piuttosto pesanti. La terna arbitrale non era infallibile, così come non lo è oggi. Proprio da quegli errori, alcuni indimenticabili come il fallo di Iuliano su Ronaldo del 1998, si accese in Elio e compagnia la scintilla, l’idea che poi portò a una delle canzoni meno musicali, ma più famose, del loro repertorio. Errori che fecero parlare di sé, ma che non stiamo qui a sindacare; errori arbitrali di cui non c’è voglia di parlare, perlomeno qui su MondoPallone: ciò che è invece preferibile analizzare è come, con il passare degli anni e l’avvento di due aiutanti in più sul rettangolo verde, le cose non siano affatto cambiate.

Come detto, di tempo ne è trascorso da allora: quasi un ventennio. La tecnologia ha fatto passi da gigante, i computer sono più veloci della luce, le linee satellitari e internet vengono utilizzate nel quotidiano e fra poco, potete giurarci, verranno usate anche per fare un caffè wireless, dal salotto di casa vostra comandando la moka in cucina e guardandola in alta definizione mentre spurga l’amata bevanda. Ronaldo ha appeso le scarpette al chiodo, Iuliano pure, Del Piero è finito in australia, Recoba è tornato in Sudamerica, Maldini, Baresi, Costacurta, Albertini, Giannini, Batistuta e Zidane sono sparsi un po’ qua, un po’ la nel mondo. Ciò che è rimasta immutata, invece, è la cocciutaggine dei boss del pallone, di coloro che lì, ai piani alti, muovono questa e quella pedina per provare a rendere il calcio uno sport, a detta loro, sempre più bello e divertente. Non ci vuole un genio, né un matemtico, per capire che l’impresa è fallita.

Perché il calcio è rimasto bello, ci mancherebbe, ma non è di certo migliorato. I fuorigioco continuano a essere bucati con costanza, di rigori inesistenti ne vengono fischiati comunque – e vicerversa – i gol-non gol sono l’incubo della… cinquina arbitrale. Perché come anche i più assonnati sapranno, da quest’anno nel Belpaese sono stati introdotti i “Giudici di porta”, gli infallibili arbitri che avrebbero dovuto rimediare a tutti i disastri sopraelencati. Condizionale voluto, e obbligatorio: perché ciò che hanno apportato al calcio, lorsignori, altro non è che un bel po’ di ulteriore confusione.

L’impressione, infatti, è che adesso, la responsabilità, con cinque uomini a contendersi il giudizio, sia… relativa. La sensazione è che quando un fallo non è fischiato, nonostante sia solare, è perché nella testa di uno di quei cinque ci sia il dubbio, la paura, l’incertezza, di aver visto solo lui quel fallo, o quel rigore, quell’infrazione. “Gli altri quattro restano in silenzio, perché dovrei espormi io?” D’altronde, il pensiero fila: la statistica parla. In quattro non hanno visto nulla, l’unico che alzerebbe la mano potrebbe, percentuali alla mano, aver visto male. E viceversa ovviamente, con tanto di errori grossolani: la presa di posizione dettata dalla vicinanza all’azione può dare la certezza, in alcuni casi, una certezza fasulla in altri: essendo il più vicino all’azione ci si aspetta che una presa di posizione, prima o poi, venga fuori. Il problema è che molto spesso viene fuori quando è sbagliata.

Ora, la soluzione dov’è? Semplice, la soluzione sarebbe… a bordo campo. Lì dove ce n’è un altro con la giacchetta da ufficiale, ma che paradossalmente, in questi spinosi casi, ha un’utilità pari a quella di un bottiglia vuota nel deserto: illusoria ma inefficace. Illusoria perché dà la sensazione di essere lì, presente, pronto a intervenire anche lui; inefficace, perché il suo ruolo altro non è che quello di tenere a bada le panchine, e gestire le sostituzioni. E allora, piazzare un monitor, né ad alta definizione né con il dolby sorround, a disposizione di questo “quarto uomo” – nel nostro caso il “sesto” per importanza – sarebbe veramente efficace. Sarebbe semplice e oltretutto immediato. Un’azione dubbia, un replay istantaneo e via, decisione… giusta. D’altronde, diciamocelo chiaramente: la moviola in campo è nata nel 2006, con la zuccata di Zidane a Materazzi. Paradossale che da quel momento in poi, dopo averne fatto giusto uso, sia volutamente sparita. Per noi italiani, tra l’altro, è un gran bel contrappasso. Già, quello dantesco. La speranza? Una, divini tifosi: che un giorno torneremo a “[ri]veder le stelle”.