Questo potrebbe essere l’ideale discorso che un ideale allenatore potrebbe fare a un’ideale famiglia, il cui ideale bimbetto sembra molto bravo a giocare a calcio ma ha appena 12 o 13 anni.
Freddy Adu nasce il 2 giugno 1989, nella città portuale di Tema, in Ghana. All’età di 8 anni si trasferisce nel Maryland, Stati Uniti, con la famiglia, dopo una vincita alla lotteria. Giocava già a pallone nel suo paese natìo e prosegue a farlo anche nella nuova terra di residenza. Viene selezionato dalla squadra locale, gioca per la sua scuola, vince il campionato regionale segnando il rigore decisivo. Il suo nome inizia a circolare. Anche perché, come già succedeva in Ghana, gioca facilmente contro ragazzi molto più grandi di lui.
Durante un torneo under-14, affronta addirittura le selezioni pari-età di Lazio e Juve. L’Inter lo nota e gli propone un ingaggio, ma la madre rifiuta su consiglio dei suoi agenti. Ha già degli agenti. E ha solo 10 anni.
A 12 anni ottiene la cittadinanza americana. A 14 anni firma un contratto con la Nike. Viene scelto dai DC United (in realtà viene scelto da Dallas, ma l’MLS lo “assegna” ai DC Utd per permettergli di essere più vicino a casa, offrendo ai Dallas Burn altri giocatori come compensazione, ndr) per giocare in prima squadra nella MLS: è lo sportivo americano più giovane della storia a firmare un contratto professionistico. La Nike, tra l’altro, si prende un enorme rischio dato che il calcio negli States non è ancora così diffuso. Ma i contratti firmati con dei giovanissimi Tiger Woods e LeBron James (oltre alla sponsorizzazione di Michael Jordan) fanno pensare che anche questa volta il futuro sia assicurato.
Nel 2006 va in prova al Manchester United, per due settimane. Subito dopo il Real si fa sentire. Ma è solo il Real Salt Lake City. Ha 16 anni, è il nuovo fenomeno del calcio ma deve ancora confermarsi. Debutta nella Nazionale a stelle e strisce, è il più giovane della storia. Si fa notare ancora due anni dopo, ai Mondiali under-20 del 2007 e il Benfica si gioca la carta del rischio. È anche il periodo peggiore per andare a giocare per le aquile dell’Estadio da Luz, però. I lusitani cambiano tre allenatori in un anno e sono in una fase di ricostruzione profonda. L’arrivo di Quique Sanchez Flores, poi, lo estromette del tutto e inizia il periodo dei “prestiti” in giro per l’Europa: AS Monaco, Belenenses, Aris, Caykur Rizespor (quest’ultima è in Turchia, ndr).
Tra un prestito e l’altro, tra un’occasione e l’altra, siamo arrivati al 2011. Lascia il Benfica e torna negli Stati Uniti. Ha già 22 anni e, di fatto, anche l’etichetta di “nuovo Pelè” è ormai sbiadita. Tra Benfica e prestiti successivi ha messo insieme appena 43 presenze (e nemmeno tutte da titolare) in 3 stagioni. Una miseria.
Insomma, la storia di un 23enne che ormai sembra un calciatore qualunque, solo con un “passato mediatico” alle spalle. Un ragazzo troppo presto nominato e troppo presto esaltato (dagli altri). Una specie di favola moderna sul come diventare un calciatore. D’altronde, a 12 anni, si può essere bravi abbastanza per provarci e magari riuscirci, senza bisogno di essere “il nuovo qualcuno”. Basta chiedere a Freddy Adu. Ora dovreste ricordarvi chi è.