La Libreria di MP: “Open” di Andre Agassi

Andre Kirk Agassi debutta in libreria con la stessa spiccata personalità che ne accompagnò gli esordi nel tennis professionistico, sul finire degli anni ’80. Il suo libro si è fatto notare, si è evidenziato tra le tante biografie seriali di celebrità, attraendo non solo i fan della propria ristretta cerchia sportiva, ma suscitando interesse in una platea più ampia di lettori, incuriositi da un passaparola sempre più convinto: Agassi ha un modo nuovo di raccontarsi.
Come in un “building romance”, Agassi da vita ad un lungo flusso di coscienza, accompagnando nel proprio monologo interiore il lettore ed intrecciando il racconto dei fatti a quello della propria formazione. A fine lettura, le quasi cinquecento pagine non sembrano poi così tante, anzi, peccato che sia finito.

“Odio il tennis”. Questo l’assunto portante, il cuore della battaglia interiore che lo ha accompagnato in vent’anni di carriera e più di mille partite giocate. Un odio nato fin da bambino, davanti al “drago”, il macchinario inventato dal padre per sputare senza sosta palline contro la racchetta di un bambino, a cui non era concesso di poter mandare un colpo a rete, né di avere qualsiasi altro passatempo. Un odio nato dalla costrizione e perciò dovuto, come ad un regime totalizzante.

In perenne conflitto con un carattere instabile e con la necessità di definire la propria personalità, Agassi ripercorre gli incontri salienti rivedendo le fasi umorali che li hanno accompagnati e talvolta decisi, in un costante intreccio di momenti di gloria e fulminei corto circuiti mentali, e contemporaneamente racconta, senza autoindulgere, le vicende umane vissute in parallelo: la sensazione di aver toccato il fondo professionale e umano, bruciandosi in volo dopo il matrimonio con Brooke Shields, l’isolamento e l’uso a fini personali di droghe e poi la rinascita, seguita all’incontro con Steffi Graf, fino a diventare il più anziano tennista vincitore di uno slam e all’impegno personale nel dar vita alla Andre Agassi College Preparatory Accademy.

Non mancano i ritratti degli avversari: dall’arroganza di Connors alla feroce antipatia reciproca con Boris Becker, fino alla stima per l’astro nascente Federer. E poi i rivali generazionali, Chang, Courier e soprattutto Pete Sampras, il “quasi amico” a cui rende onore, scrivendo: “Perdere con Pete mi ha provocato un dolore enorme, ma alla lunga mi ha reso più forte. Se lo avessi battuto più spesso, se fosse comparso in una generazione diversa, il mio palmares sarebbe stato migliore e potrei essere ricordato come un tennista migliore, ma varrei meno”.

Come in una sceneggiatura pensata per il grande schermo, molta la cura è riposta anche nel raffigurare le figure dei migliori attori non protagonisti: il preparatore Gil, il coach Brad Gilbert e prima di lui Nick Bollettieri, la fidanzatina storica Wendy, l’ex moglie Brooke Shields o episodi suggestivi, come la breve ma intensa pagina dedicata all’incontro con Nelson Mandela. Vivide immagini che, a volte, sembrano evocare atmosfere da film di Scorsese.
E se davvero qualche regista di fama decidesse di farne un film, non ci sarebbe molto da sorprendersi.

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