Eccoci giunti alla prova del nove

E’ il weekend della verità. Ok, forse non proprio della verità assoluta, diciamo che è uno di quei finesettimana che ci consentirà di capire fino a che punto sono legittime le strategie dei principali club d’Italia. Mi spiego: è la settimana che ha portato più delusioni che soddisfazioni in Europa, e molto si è detto e scritto al riguardo: si è parlato del tanto discusso ranking Uefa, con l’Italia costretta a inseguire la Germania e, soprattutto, fuggire dall’assalto di Francia e Portogallo, subito dietro; si è accusato le squadre italiane di snobbare le coppe costringendo, di conseguenza, il calcio nostrano a rimediare figure barbine in giro per il Vecchio Continente; si è ipotizzato il perché di tale ‘snobbamento’, e la risposta, all’unisono, è stata chiara – e, forse, scontata: “si risparmiano le forze per il campionato”. Bene: ci siamo, vediamo se tali strategie saranno azzeccate.

A pensarci bene, tutto sommato, potrebbero anche esserlo, in due casi molto semplici: 1) se si parlasse di carpentieri che, dopo una settimana di lavoro, si ritrovassero a giocare con il peso di sei giorni di fatica sulla schiena; 2) Non parlando di carpentieri ma di calciatori, se le seconde linee fossero all’altezza delle prime, nel senso: in estate si decide di comporre due squadre, totalmente divise e diverse nello stile, nell’essenza, nelle ambizioni: una per il campionato, una per l’Europa (e pensateci: probabilmente ci servirebbe anche un altro allenatore!). Fatto sta che, in entrambi i casi, non è questa la situazione: coloro che scendono in campo non sono carpentieri, e le squadre non hanno assolutamente riserve all’altezza (pecunia non olet e, guardando nelle proprie casse, melius abundare quam deficere).

Di conseguenza, stando a un ragionamento logico, risulta scontato che, in Europa, se si schiera una squadra non competitiva di calciatori non si vince. Perché il calcio europeo sta crescendo. Perché in Europa le coppe sono ritenute importanti (giustamente: si lavora un anno intero per riuscire a parteciparvi) e le squadre giocano con cuore e passione, nonostante le comuni, e consuete, fatiche del campionato. E qui mi ricollego al discorso dei carpentieri. Voglio dire: i calciatori sono pagati, tanto, per scendere in campo, ed è inammissibile pensare che un ragazzo, un atleta, di 25 anni (primavera più, primavera meno) debba essere “gestito”, anzi, “preservato” perché “non regge una partita ogni tre giorni”. Discorso astruso, ma che si sente e risente oramai da più di qualche anno. Se fisicamente a posto, un calciatore può e deve giocare ogni tre giorni: è il suo mestiere, semplicemente. Ed è vero, certamente, che gli allenamenti sono stressanti, e la tensione psicologica sale alle stelle soprattutto nei giorni antecedenti a un match, ma questo fa parte… del mestiere, appunto, un mestiere fin troppo bello e ambito dalla gran parte dei giovani con la passione del pallone.

Signore e signori, qui si tratta di etica, di educazione al lavoro e allo sport: si tratta di rispetto. Per una competizione, per l’avversario (credete che al Dnipro abbia fatto piacere giocare contro un Napoli con evidente indole spocchiosa?) per uno sport e i tifosi. Il turnover lasciamolo alle circostanze obbligate (giocatori piuttosto in là con l’età, rischi d’infortunio evidenti, possibilità di schierare sostituti all’altezza). In campo va messo sempre l’undici migliore, e va fatto perché ogni coppa, ogni partita, ha la sua importanza. Va fatto perché il nostro calcio deve riacquisire la sua educazione e la sua credibilità, deve sapersi riprendere quello stile che ha purtroppo perso negli anni, e che ha portato – e sta portando – un degrado indescrivibile in termini di moralità. I calciatori si sentono divinità intoccabili, i campioni più di tutti, che sono quelli che vengono più degli altri usati col contagocce. Guai si facessero male, no? Ed ecco il paradosso: un campione è stato acquistato a peso d’oro, e a peso d’oro è il suo ingaggio; un campione deve aver voglia di giocare, deve voler sempre calcare l’erba, deve vivere sul rettangolo verde. Deve saper fare sempre la differenza. Ed ès contato che, fuori dal campo, la differenza di certo non la fa.

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Alex Milone