Ma tu te lo ricordi…. Dario Hubner?
La scena si ripeteva annualmente, quasi fosse un rituale magico o una corsa all’oro fatta di gol; il luogo, anche quello lo stesso, da sempre: la casa di qualche amico, il garage dismesso di qualchedun altro o la cantina polverosa di quell’altro ancora; la situazione, un classico dell’adolescenza (anche se io lo faccio ancor’oggi, n.d.r), l’asta del fantacalcio: ruolo attaccanti, uno dei “pezzi” più ambiti? Proprio lui, Darione “Tatanka” Hubner, uno che in un modo o in un altro tra i 10 ed i 20 gol li portava a casa, il classico bomber che nella tua rosa non può mancare, la punta per la quale il prezzo schizzava alle stelle, o, per dirla con un termine moderno, avrebbe fatto salire lo spread. Nella sua carriera, forse, Dario Hubner ha raccolto meno di quanto abbia seminato; eppure, noi vogliamo ricordarlo così, come uno dei migliori attaccanti che abbiano calcato i campi di calcio tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio; uno per il quale il gioco del pallone è rimasto sempre tale, senza montarsi mai la testa, un divertimento, un amore puerile, tra una sigaretta e un bicchierin di grappa.
I primi anni della vita calcistica di Hubner si svolgono sui campi di quella che un tempo, nostalgicamente, si chiamava Serie C: Pergocrema e Fano le prime tappe importanti di una carriera legata a doppio filo col gol, irrorata da quel fluido magico che ti scorre nelle vene tipico degli animali da area di rigore. Proprio nelle Marche, al servizio di un certo Francesco Guidolin, Darione trova quel nomignolo, quell’epiteto che lo accompagnerà per tutta la vita: Tatanka, Bisonte. Nel 1992 si trasferisce a Cesena, in Serie B: il salto di categoria non gli fa perdere l’istinto del “killer”, iniziando una parabola che lo porterà, nei cinque anni passati in Romagna, ad andare costantemente in doppia cifra, vincendo la classifica dei cannonieri nella stagione 1995/1996. A quasi trent’anni i tempi sono maturi per fare un ulteriore passo, l’esordio in Serie A: Brescia e Piacenza le tappe principali della sua avventura nella massima serie. L’esordio del bisonte Hubner è tra quelli da ricordare: gol a “San Siro” contro l’Inter, tripletta la giornata successiva contro la Sampdoria, 16 reti totali alla prima tra i “grandi”. Da favola gli anni passati al fianco di Roberto Baggio, la mente e il braccio di un Brescia da sogno; col Piacenza, invece, Dario vince il titolo di capocannoniere nel 2001/2002. Un trionfo per uno cresciuto nei campi di periferia e per il quale il calcio è più un divertimento che un lavoro. Un pensiero che lo accompagnerà anche negli ultimi anni della carriera, passati tra il ritorno in Serie C, la Serie D, l’Eccellenza e la Prima Categoria: Orsa Corte Franca, Castel Mella e Cavenago gli ultimi capitoli di un racconto durato più di vent’anni, concluso ben oltre i quaranta, vissuto a briglia sciolta, nelle praterie verdi dei campi di qualsiasi categoria.
“Facevo il fabbro, montavo l’alluminio, chi avrebbe mai immaginato una carriera del genere?“, dirà in un’intervista di qualche anno fa. Un moderno Cenerentolo, cresciuto a grappa, partite a briscola e pallone; il brutto anatroccolo si è trasformato in cigno, senza dimenticare mai le sue origini, la fatica, l’amore incondizionato per questo sport e pazienza se non è mai arrivato l’ingaggio della vita, la chiamata da una big; “sì ho fumato anche in panchina, purtroppo fumo ancora oggi, di correre non se ne parlava e non se ne parla del resto“, siamo sicuri che quei vizietti non li avrebbe persi nemmeno col Milan, con la Juventus o con un’altra grande. Lui, Darione, le sue soddisfazioni se l’è levate: unico giocatore della storia del calcio italiano assieme a Igor Protti ad aver vinto la classifica dei marcatori in tutte le leghe professionistiche del calcio italiano. Il calcio non lo ha abbandonato nemmeno dopo aver appeso le scarpette al chiodo: ha preso il tesserino da allenatore, ma nel frattempo ha continuato la sua tranquilla vita di provincia, tra il fumo di una sigaretta, l’orticello di casa e gli amici del bar.
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