MondoPallone Racconta… C’era una volta lo stopper
Inutile negarlo. Uno dei ruoli in cui l’Italia poteva vantare i migliori interpreti in circolazione, quello del difensore centrale, purtroppo non presenta più “crack” di valore tale da avvicinare i livelli dei grandi del passato. Senza spingerci oltre l’ultimo ventennio e facendo il confronto con la scuola italiana attuale, si capisce subito che non siamo stati capaci di rinnovarci. A riprova di ciò, l’enorme numero di stranieri impiegati in Serie A proprio in quella posizione. Che qualcuno dia fiducia e formazione ai giovani nostrani…
Per avere una visione della crisi basta scorrere le rose delle squadre italiane di vertice: argentini (Campagnaro, Samuel, Burdisso, Silvestre, Fernandez), brasiliani (Juan Jesus, Castan, Dias, Lucio, Uvini, Danilo), francesi (Ciani, Mexes, Diakité), colombiani (Zapata, Yepes) la fanno da padrone. L’unica eccezione è data dalla Juventus, che Conte schiera con la difesa a tre ed i cui interpreti – non a caso – formano la cerniera arretrata della Nazionale. Bonucci, Chiellini e Barzagli, insieme a Buffon, fanno ritornare alla mente i tempi in cui accadeva la stessa cosa con Bearzot in panchina: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea… non me ne vogliano i bianconeri attuali, i valori erano molto diversi. La differenza sostanziale, oltre all’eccellenza di quegli interpreti, è che allora nel campionato italiano gli stranieri non c’erano oppure si erano appena riaffacciati (nel 1980). Quindi, i difensori a disposizione erano tutti convocabili e si poteva parlare di meritocrazia, più che di ristrettezze numeriche come oggi.
Con la chiusura del ciclo Bearzot, all’indomani di Messico ’86, la federazione si affidò al lavoro di Azeglio Vicini. Il tecnico romagnolo aveva formato un’ottima Under 21 e di fatto, alla promozione in Nazionale A, portò quasi tutti i suoi ragazzi nella rappresentativa maggiore. Al centro della retroguardia impose il milanista Franco Baresi, che avrebbe degnamente raccolto l’eredità del grande Scirea quale libero, e gli affiancò il nerazzurro Riccardo Ferri come partner. Insieme a Zenga, Bergomi e Maldini formarono il blocco difensivo autore di grandi prestazioni a Euro ’88 (semifinale) e a Italia 90′ (terzo posto: un solo gol subìto, quello amarissimo di Caniggia). In quegli anni l’Italia poteva permettersi il lusso di lasciare in panchina gente come Vierchowod, probabilmente titolare in qualsiasi altra squadra.
Venne poi accantonata la figura del libero, ora secondo centrale in linea con un compagno di reparto che prima si chiamava stopper. Il difensore centrale, che prima si occupava solo di distruggere senza tanti complimenti, ha dovuto mutare mentalità, tempi di intervento, confrontarsi con l’off-side. Buona tecnica di base e rapidità diventano requisiti fondamentali. Terzini di fascia come Paolo Maldini, Ciro Ferrara e Giuseppe Bergomi si spostano con successo in posizione centrale, il Parma trasferisce quasi in toto la sua difesa in azzurro con Minotti ed Apolloni eletti a prime riserve di Baresi e Costacurta da Sacchi.
La cosiddetta scuola italiana ha i suoi ultimi grandi interpreti in Fabio Cannavaro ed Alessandro Nesta. Il difensore napoletano si afferma proprio a Parma in coppia con un altro centrale stellare: il francese Lilian Thuram. Per un periodo la loro coppia viene considerata la più forte e temuta da tutti gli attaccanti avversari. La prima grande vetrina internazionale è il Mondiale 1998, in cui Cannavaro viene schierato proprio con Nesta, che poi si infortunerà contro l’Austria e verrà sostituito da Bergomi, ritornato in Nazionale dopo ben 7 anni. Cannavaro conoscerà in Francia un esordio da incubo, facendosi beffare due volte dal cileno Salas per il 2-2 finale.
Lo “scugnizzo” si rifarà con gli interessi nel 2006. Disputando un Mondiale stratosferico, meritò Pallone d’Oro e FIFA World Player dopo aver alzato da capitano la Coppa del Mondo nella notte di Berlino.
Nesta è forse stato superiore a Cannavaro per doti tecniche ed eleganza, ma ha avuto la malasorte di infortunarsi nei momenti topici della carriera. A parziale consolazione, Nesta ha vinto tanto a livello di club rispetto al collega. Proprio un suo malanno durante il Mondiale 2006 ha spianato la strada a Marco Materazzi, capace di cogliere al volo l’occasione per trasformarsi in uno degli eroi di quella vittoria.
Ora, il calcio italiano attraversa un autentico buco generazionale nel ruolo. Ma è soprattutto una questione di “ciecità” da parte degli operatori di mercato dei club italici. La tendenza di preferire l’acquisto di un giocatore sudamericano piuttosto che dare fiducia ad un giovane, magari cresciuto in casa, è sotto gli occhi di tutti. Quantomeno stucchevole. I risultati si vedono, pessimi. Chiedete a Prandelli, costretto ad affidarsi quasi completamente alla difesa juventina a causa di mancanza di alternative ad alto livello. Senza dimenticare che il C.T. ha preferito chiamare Ogbonna dalla B, quasi una bocciatura per i pochi italiani in A, senza togliere nulla alle doti del granata.
Finchè i nostri presidenti continueranno ad ingaggiare presunti campioni dal nome esotico, invece di investire con decisione ed in maniera capillare sul vivaio, assisteremo ad un progressivo impoverimento delle nostre rappresentative. Ovvero, il futuro del calcio italiano.