L’etica che non c’è

Era nell’aria già da un po’ di tempo, e alla fine ecco qui che succede ciò che in tanti si aspettavano accadesse: il Tnas, da grande magnanimo, ha constatato, constatato, constatato e, alla fine, ha deciso di scontare la pena ad Antonio Conte, colpevole – a questo punto – “un po’ meno” del reato di cui era indagato. Già, “un po’ meno”: perché Conte, dunque, le sue colpe evidentemente le ha, ma tutto a un tratto, e incredibilmente, queste sono diventate più leggere di quanto, solo l’altro ieri, gli pesavano faticosamente sul groppone.

Cosa, questa, che assume decisamente i contorni del grottesco; perché se l’imputato è – come egli stesso si professa – ingenuo, tesi che tra l’altro i suoi legali stanno da oltre 200 giorni cercando di dimostrare, il tanto rumorosamente chiamato in causa Tribunale Nazionale di Arbitrato dello Sport avrebbe, dunque, non aver dovuto fare altro che eliminarla, la sua pena. Come, d’altronde, i legali stessi di Conte stanno chiedendo da quando il loro assistito è stato chiamato in causa in tale ignobilissima vicenda.

Invece no: pena, per il tecnico juventino, più che dimezzata, da dieci a quattro mesi, e Juventus che sotto Natale riavrà in panchina il suo tanto coccolato allenatore. Felice per loro, che si godono un semi-lieto fine; disgustato, invece, dalla solita dozzinale Giustizia italiana, che del suo nome, oramai, ha poco, pochissimo, forse nulla. Cerco di spiegarmi, e anche in breve perché di tutta questa vicenda se ne è parlato e riparlato per troppo tempo: senza entrare nel caso specifico (se Conte è colpevole o no non spetta a me dirlo, anche se un’idea, ovviamente, me la sono fatta) è opportuno, anzi, doveroso analizzare la pochezza, la scarsità di fermezza e carattere palesata da chi dovrebbe garantire giustizia, appunto, e trasparenza, e che invece – oramai sistematicamente – finisce per elargire carezze consolatorie ai poveri colpevoli accusati e condannati.

Dimezzare la squalifica a Conte è stata una mossa sbagliata. E’ stata la dimostrazione di come in Italia esista, ed è purtroppo forte, il senso di sudditanza. Le pressioni mediatiche, la conferenza stampa tutte urla e tuoni del tecnico bianconero, le prime pagine dei giornali, la voce dei tifosi, Conte che guarda le partite della Juventus nei box degli stadi con tanto di webcam puntatagli addosso per controllarlo, non hanno fatto altro che innalzare un polverone in cui, gli incapaci di capire dove fosse il marcio, si sono resi capaci di posizionarsi in medias res e dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Un po’ come dire: Conte, accusato di doppia omessa denuncia, dovrebbe essere squalificato, ma le prove non ci sono; a controlli fatti, ciò che è emerso è il nulla, e ciò che ci resta in mano è la possibilità di sembrare duri, inizialmente, ma allietare il tutto poi, con una riduzione che renderebbe contenta la massa e farebbe urlare meno all’ingiustizia. Perché è questo che conta: che non prevalga l’ingiustizia; non l’esatto contrario, che sembra simile ma non lo è: ovvero che prevalga la giustizia. Se questa avesse prevalso, Conte sarebbe stato o condannato (in ogni grado, in ogni sessione, da ogni tribunale), o assolto. D’altronde, non lo si può accusare di un quarto abbondante di omessa denuncia, mi pare: il reato o c’è o non c’è. La colpa, e la relativa pena, o esiste o non esiste, perlomeno in questi casi. E’ anche vero che, nel calcio, siamo abituati agli sconti di pena, e anche lì si tratta di sbagli; che risuonano meno, però, se bisogna giudicare un’espulsione, una condotta violenta (nei limiti, ovvio), o qualsiasi altra conseguenza disciplinare. Non è ammissibile, invece, che si scherzi con la passione, perché qui si è trattato di imbrogliare una nazione intera, storicamente legata a questo magnifico sport, il calcio. C’era il bisogno di controlli ancor più accurati, ancor più approfonditi, e una pena vera se necessaria, oppure nulla se non richiesta. Invece, fumo e arrosto, tutt’insieme nella fornace della Giustizia: Conte esulta, poco, e si strazia, poco, per altri tre mesi fuori dal campo; gli juventini gioiscono, un po’, e attendono, un altro po’, il rientro del loro tecnico; l’italiano medio legge, un po’, dice la sua, un altro po’, ma alla fine accetta tutto, come al solito; l’etica italiana, invece, né gioisce né piange né rifiuta né accetta: semplicemente, non esiste più. E di questo, fidatevi, bisogna veramente preoccuparsi.