Fabregas: “Il Milan incute rispetto e ammirazione, la Juve è competitiva e Tito…”
365 minuti e 5 presenze da titolare dall’inizio della stagione. Cesc Fabregas è l’uomo finora più utilizzato da Tito Vilanova nella “macchina perfetta” del Barcellona. E pensare che in estate, visto il suo poco utilizzo, erano addirittura trapelate indiscrezioni di un suo possibile addio dai catalani.
Tutto falso, Cesc è un punto fisso per Vilanova e per i suoi compagni e questa mattina, in esclusiva alla “Gazzetta dello Sport“, ha rilasciato un’intervista molto interessante che vi riproponiamo interamente. Il fantasista, mediano, esterno, regista (dove lo mettete lui sta) ha anche parlato di Serie A…
C’è più concorrenza nel Barça o nella Spagna?
“Nel Barça nella mia zona preferita c’è il miglior giocatore della storia… Messi! Nella Selección Leo non c’è“.
Lei di posizioni ne ha cambiate tante: nell’Arsenal è partito da numero 4.
“Sì, giocavo così pure nelle giovanili del Barça. Ma il mio ruolo preferito è da centrocampista avanzato, dove poi mi mise Wenger, dietro al centravanti nel 4-2-3-1. O nel 4-3-3 mi piace giostrare da interno o più avanti, nella linea degli attaccanti, da falso 9, come con Guardiola o con la Spagna. Ma mi adatto alle varie posizioni“.
In questa stagione ha giocato a destra e a sinistra nella mediana del 4-3-3.
“Sono abituato a cambiare. Ho giocato da 4, da 8, da 10… A scuola mi alternavo fra centrocampista avanzato o punta. A 7-8 anni ho fatto un provino col Barça da centravanti. Feci 2 gol ma non mi presero lo stesso“.
A 11 anni era già nella cantera. Che resta di quel Cesc?
“Molto, i ricordi delle prime partite con mio padre, mi divertivo tanto, ho passato ore e ore a giocare per strada, con i compagni di scuola; papà creò un squadretta di calcio a 5. Una volta avevo tre team: uno al mattino, uno di pomeriggio e l’altro per la domenica“.
Passiamo al presente: la nuova Champions?
“Credo che le migliori siano sempre le solite, quelle che hanno la qualità per arrivare in finale: noi, il Real Madrid, il Bayern, il Milan, il Manchester United… Il Milan è uno di quei club che è sempre lì, una grande squadra. Anche senza Ibra e Thiago Silva il Milan incute rispetto, ammirazione, o attaccamento, è la tradizione che piace sempre ai tifosi“.
E della Juve che pensa?
“L’anno scorso ha fatto un campionato spettacolare, ha vinto con campioni come Pirlo, Marchisio, Matri, Vidal, Buffon, Chiellini… Tanti della Nazionale, forti e competitivi. Della Juve ho un ottimo ricordo: ci ho vinto contro nel 2006 con l’Arsenal, nei quarti, era la Juve di Capello, Ibra e Vieira, e segnai all’andata a Londra“.
La Liga invece non ha avversari. Dal 2004 la vince o il Barça o il Real. S’annoia?
“No, quel che mi ha sorpreso tornando in Spagna è che ho scoperto che la Liga è più competitiva della Premier. Barça e Madrid sono tanto forti ed è difficile tenerne il ritmo fino alla fine. In Inghilterra è più facile vincere la Premier. Anche se ci sono molti club che possono conquistarla. Però così se perdi 5-6 gare puoi ancora pensare di vincere il titolo, proprio perché in cima c’è più concorrenza. Qui se ne perdiamo o pareggiamo una si rischia che la Liga sia già persa. E poi le squadre spagnole sono più preparate tatticamente, è più difficile segnare qui, fare assist, c’è meno libertà e più pressing. Anche più concentrazione, equilibrio. La Premier diverte di più perché è meno difensiva, c’è un’azione ogni minuto e i fan si divertono. Ma in Liga devi metter più testa“.
Il Barça come è cambiato da Guardiola a Vilanova?
“Niente di diverso. Facciamo lo stesso che facevamo con Pep: allenamenti, lavoro fisico, preparazione dei match, cibo, tattica. L’unica differenza è il modo di esprimersi, ma questo è ovvio“.
Com’è il signor Tito?
“Lo conosco bene, l’ho avuto da allenatore nel Cadete B del Barça nel 2002, quando ero in squadra con Messi e Piqué, quell’anno non perdemmo una partita. E non è cambiato da allora, sempre molto tranquillo, sa tanto di calcio, cerca sempre di spiegarci a fondo la squadra rivale, molto preparato“.
Per voi è stata un sorpresa l’addio di Pep?
“Sì! Quando ad aprile hanno convocato la conferenza stampa non sapevamo nulla. Ma la grande sorpresa, positiva, è stata la nomina di Tito. Per noi un segno di continuità“.
Al Pais ha detto che il passaggio Londra-Barcellona è stato un cambio radicale.
“Sono andato via da Barcellona a 16 anni. Poi ho passato momenti difficili, s’immagini un ragazzino da solo a Londra… Sono tornato da uomo maturo. Tutto questo mi dà il senso di come passi in fretta il tempo e di come una carriera nel calcio sia corta. La vita? Londra è una città spettacolare, puoi andare in giro, a teatro, a cinema, al ristorante. Qui esco poco di casa, vivo più tranquillo, con gli amici di sempre o al computer“.
Che ricordi ha di Wenger?
“È stato più che un maestro, un padre sportivo. Mi ha dato tutto: mi ha fatto debuttare a 16 anni, mi ha lanciato in Premier a 17, capitano a 21; siamo arrivati in finale di Champions nel 2006 contro il mio Barça e mi ha fatto sentire importante, e avevo solo 19 anni… Mi ha fatto maturare, se le cose non andavano bene mi dava fiducia, era positivo. Credo che nel calcio il talento sia fondamentale e poi se ti alleni puoi migliorare, ma è un gioco dove conta tanto il fattore psicologico. Al calciatore serve una persona che ogni giorno dica “ho fiducia in te, continua così”, uno che te lo dimostri con azioni. Wenger è stata quella persona“.
Quindi mai pentito di essere andato a Londra?
“Mai, anche nei pochi momenti bui, visto che per fortuna mi è andata quasi sempre bene. Ho sempre migliorato, la fiducia del tecnico è aumentata. È stata un’esperienza che mi ha dato tanto: perché lì non ti regalano nulla, devi lavorare duro. E poi è stato fantastico vivere da solo a 20 anni, mescolarmi ad altre culture, io che vengo da un paesino come Arenys de Mar, dove conosco tutti. Ora mi considero più aperto, parlo inglese, ho amici ovunque come Senderos, Flamini del Milan, Hleb…“.
E con Guardiola com’è stata la relazione?
“Ottima, Pep era il mio idolo d’infanzia, per lui porto il n.4. Quando arrivai al Barça a 11 anni Pep era il capitano, ricordo la festa per la Champions del ’92. Sono molto orgoglioso che sia stato il mio tecnico“.
L’anno scorso ha avuto un inizio di stagione da 11 gol in 3 mesi. Ora è dai primi di febbraio che non segna.
“L’anno scorso in pratica giocavo da attaccante, in un 3-4-3 dietro a Messi o da 9. Ora non è più così, ora tocca a me fornire gli assist, liberare i compagni, vedere gli spazi, creare. Ma sono tranquillo, non sono mai stato un giocatore da 30 gol a stagione (15 l’anno scorso, ndr), sono un centrocampista con fiuto del gol“.
In questo senso era meglio all’Arsenal?
“Sì, lì ero più libero di muovermi, ma qui c’è da lottare per altri obiettivi e in ogni squadra sono diversi. Ma, ripeto, sono davvero molto contento qui“.
Dove ha ritrovato vecchi amici come Piqué e Messi.
“Sì, anche se non è facile vedersi come una volta, dopo gli allenamenti o i match, ognuno ha la sua vita. Leo? È come tutti, ama scherzare, parlare tanto, è umile e modesto: era così anche da piccolo“.