Il boemo e la “finestra sul cortile”

C’era una volta, nel mondo dello sport, il palazzo del calcio italiano. Su, al piano più alto, i presidenti delle società osservano i giocatori di tutto il mondo, in cerca del fenomeno di turno, che possa far fare il salto di qualità alla propria squadra. Per molto tempo la notevole disponibilità economica ha regalato al calcio italiano grandi talenti: da Zico a Maradona, da Zidane a Ronaldo, fino a giungere a Sanchez e Ibrahimović. Così, mentre tante squadre italiane godevano del lustro regalato dalle grandi vittorie internazionali, alcune voci fuori dal coro facevano notare la penuria di talenti “fatti in casa”.

La domanda era: “Perchè in Inghilterra Fabregas a 16 anni è titolare nell’Arsenal, mentre in Italia non giocherebbe mai?” Chiacchiere da bar sport, con un fondo di verità. La pigrizia dei gestori delle società italiane, unitamente all’esasperata cultura della vittoria, ha sempre fatto preferire il campione affermato alla giovane promessa. Nel corso del tempo si è assistito al sacrificio di talenti futuribili, a favore dell’acquisto del presunto campione dal nome esotico e dall’ingaggio elevato. E, così, mentre Milan e Inter trionfavano in Europa, la Nazionale arrancava agli Europei del 2008 e ai Mondiali del 2010. Nel mentre la Spagna, e perfino la vetusta Germania lanciavano in prima squadra giovani a ripetizione.

Con l’atteggiamento tipico dello struzzo, i presidenti delle squadre di Serie A hanno continuato nel loro modus operandi, finchè un giorno, nel palazzo del calcio italiano, sono giunte le ripercussioni della crisi economica. Con i talenti in fuga dalla serie A, sono diminuiti anche i giocatori acquistabili sul mercato: il palazzo italiano ha cominciato a perdere il suo sfavillio, superato in bellezza da quello tedesco e perfino da quello francese. La soluzione era però lì, a portata di mano: bastava aprire la finestra sul cortile. Su quel cortile in cui giocavano i piccoli talenti della penisola: c’erano Verratti, Immobile, Insigne, Caprari, Florenzi; tutti (o quasi) allievi del boemo Zeman.

Sì, Zeman! Un personaggio scomodo, antipatico, ma ammirato per la sua capacità di lavorare con i giovani. E così i presidenti hanno tirato fuori la testa dalla sabbia, e si sono dati battaglia per accaparrarsi questi giovani talenti: Florenzi segna e sogna nella Roma, Immobile trascina il Genoa con i suoi gol, Insigne esulta con il San Paolo indossando la maglia dei suoi sogni, Caprari, il più piccolo, sforna perle a Pescara con la Roma che lo aspetta, Verratti… Verratti non c’è più. E’ stato “rapito” da quel signore brasiliano innamorato del calcio italiano, di nome Leonardo, e se lo è portato a Parigi.

Ci hanno messo troppo i presidenti del palazzo a capire il talento puro di quel ragazzino pescarese classe 1992, e ora sono i tifosi al Parco dei Principi a godersi le sue deliziose giocate. Eppure, nonostante questa svolta, da quell’ultimo piano continuano a pensare chi di loro sarà il “nuovo Totti“, chi il “nuovo Del Piero” e chi, perfino, il “nuovo Maradona“. Non c’è da scervellarsi su come appellarli: basta chiamarli semplicemente Alessandro, Lorenzo, Ciro, Gianluca, Marco. Nomi semplici, ragazzi umili, in tre parole: il futuro della Nazionale. E se siamo un popolo capace di commuoversi di fronte al ritorno al gol del “nonno” Luca Toni, pensiamo a  quante gioie potremo vivere in futuro con questa “generazione di fenomeni”. La generazione dei ragazzi del boemo.

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Stefano Giovampietro