Con piglio agile e ironico, ci racconta piccole storie di succinta bellezza, intagli carpiti allo scorrere dei campionati e dei mondiali e riassemblati in una memoria collettiva, un album fotografico in cui ritrovarsi a dire “Ehi, c’ero anch’io!” .
Gesti tecnici folgoranti e poi perduti nel nulla, come le rimesse laterali con capriola mortale del difensore estone Risto Kallaste o episodi mitologici come i quattro secondi di palleggio aereo del romanista Cafù – quando in un pomeriggio romano pettinò col pallone il laziale Nedved – vengono raccontati con estatico incanto, come in una metafisica telecronaca senza tempo.
Aloi ci spiega, per esempio, la natura benefica del tackle, ingenerosamente definito assassino, che fu caratteristica della carriera di Benetti Romeo – sì, proprio così, prima il cognome e poi il nome, anche questo fa parte della ragion d’essere del tackle. Di alcune storie si ricordano protagonisti improbabili, controeroi buffi di giornate inverosimili, come nelle reminiscenze goffe legate indissolubilmente a Marco Pacione, centravanti juventino che guadagnò la sempiterna riconoscenza di ogni gufo antijuventino, in una notte di Coppa in cui si divorò fatalmente gol, qualificazione e carriera.
Ritroviamo interpreti dalle caratteristiche proverbiali, come le fughe in avanti senza dribbling di Claudio Caniggia, storico contropiedista argentino, accanto agli improvvisi protagonisti di domeniche apparentemente qualsiasi ma squarciate da un lampo a ciel sereno, come fu per Bastos Tuta, brasiliano transitato per Venezia, rimasto famoso per un unico gol segnato al Bari, inatteso tanto dagli avversari quanto dai compagni di squadra, che causò il ribaltamento della tavola con tarallucci e vino, già apparecchiata a bordo campo.
L’“inginocchio da te” di Paolo Rossi nella semifinale dell’82 contro la Polonia, esemplare suggello in rete di chi è baciato in fronte dalla predestinazione o il “cucchiaino” di Simone Inzaghi, imbarazzante sguaiatezza di chi invece è ottenebrato dalla presunzione; l’immensità rombotuonante di Gigi Riva e “la sassata da passeggio” di Manuel Rui Costa: ogni gesto è descritto con la valenza romantica che caratterizzò il momento in cui accadde e con l’umorismo di chi sa dissacrare, in neanche troppo velata contrapposizione al moderno calcio muscolare e generatore di fenomeni prestampati.
Facce scolpite nella roccia come il monolitico Jaap Stam o il centravanti – sequoia ceco Jan Koller: istantanee rubate tanto a campioni, quanto a giocatori oscuri, nel nome della passione per il gioco del calcio e, tutto sommato, anche per i protagonisti di quelle favole che decidiamo di farci raccontare quando assistiamo ad una partita.
Sono solo trentasette immagini ricolorate, ma dopo l’ultima pagina, molte altre, probabilmente, ne vorrete aggiungere voi.
“Do di piede – Trentasette atti unici contro il calcio moderno” di Andrea Aloi – Editori riuniti
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