Il numero 10: una classe in via di estinzione
Il numero 10, colui che racchiude all’interno dei suoi scarpini chiodati quella che è l’essenza del calcio. Un insieme di estro, classe, eleganza e fantasia che meglio di qualsiasi altra cosa può descrivere questo meraviglioso sport. Il numero 10 è quell’interprete universalmente riconosciuto e ammirato da tutti a prescindere dalla casacca che indossa e dalla bandiera che rappresenta. Il 10 è quel patrimonio che appartiene a tutti noi. È quel giocatore che trascende ogni schema, che esce al di fuori di ogni standard, che si estranea dai comuni mortali per incantare il mondo intero con la sua poesia. Una poesia che sostituisce rime e versi con parabole, traiettorie e colpi che escono fuori dal normale. Pure licenze poetiche, insomma.
Se poi consideriamo che tutta questa bellezza è inoltre unita al ruolo fondamentale che ricopre in campo, ci rendiamo conto di quanto questo tipo di giocatore sia indispensabile. È il fulcro tra difesa e attacco, può cambiare il corso di una partita e risolvere una situazione complicata con uno dei suoi lampi di genio e molte volte si concede lui stesso il lusso di gonfiare la rete. Grande cervello, piedi fatati, ma anche pochi polmoni: queste sono le sue caratteristiche generali.
Per fortuna di tutti noi malati di pallone, la storia ce ne ha regalati molti. Alcuni hanno avuto la gioia di vivere contemporaneamente o assistere in diretta alle loro prodezze; altri hanno dovuto accontentarsi di racconti, videocassette e quant’altro. Ma è anche questo il bello: un padre che racconta al figlio le loro storie, le loro gesta e il fatto di tramandare di generazione in generazione la passione per questa sorta di eroi. Impossibile non farsi prendere dai brividi guardando le imprese o semplicemente sentendo nominare i signori Maradona, Pelé, Zico, Baggio, Zidane, Del Piero, Totti, Matthäus, Platini, Gullit, Savićević, Rivera e altri. Chi di noi, in tenera età, non è mai sceso a giocare con gli amici indossando orgogliosamente la maglia del proprio beniamino? Chi non ha mai provato a imitare la loro esultanza, qualche particolare del loro modo di essere o addirittura qualche loro gol? “Questo è il calcio signori miei!” (mi perdonerà Al Pacino per aver travisato il suo discorso negli spogliatoi in “Ogni maledetta domenica”).
Un calcio, questo, destinato a essere guardato o, meglio, soltanto ricordato con malinconia e nostalgia. Usate pure il termine che preferite. I fuoriclasse di adesso non hanno niente a che vedere con i loro predecessori: sia per le caratteristiche tecniche che per quelle comportamentali. Non ricordo che Maradona avesse bisogno di numeri da circo per segnare o per dribblare, non ricordo che Pelé si vantasse del fatto di essere tra i più grandi di tutti i tempi e non ricordo neanche il fatto che una società prendesse una multa perché Baggio ritardava l’ingresso in campo per aggiustarsi perfettamente il codino. Questi sono gli esempi che danno i vari Cristiano Ronaldo, Ibrahimović e Neymar: i “campioni” di adesso. La differenza tra un campione e un grande giocatore sta proprio in questo. Forse l’unico che si distingue è proprio il più forte del momento: Lionel Messi.
Il vero 10, quello autentico, sta diventando una perla sempre più rara (se non è addirittura sparito) in questo sport che, ormai, ha intrapreso una direzione ben precisa: si sta evolvendo (ma in questo caso parlerei di involuzione) come una disciplina sempre più fisica a discapito della vera e propria classe. Giocatori che corrono per 90’ come cavalli imbizzarriti a testa bassa, cross che sempre più spesso finiscono dietro la porta, tiri che andrebbero bene come calci di trasformazione di una meta, fantasisti ormai in via di estinzione e, infine, il 10 che sulle maglie sta diventando un numero come tutti gli altri, senza alcuna caratteristica che lo contraddistingua: questo è lo scenario che si va delineando davanti ai nostri occhi, specialmente nel calcio nostrano.
Sulla vicenda si è espresso anche l’illustre Sandro Mazzola, il quale attribuisce la perdita di qualità del nostro calcio ai metodi di allenamento che gli allenatori adottano. Secondo l’ex interista, infatti, gli allenatori darebbero troppa importanza alla corsa e alla prestanza fisica piuttosto che ai “piedi”, per intenderci. A farne le spese sono sicuramente la qualità e il livello di gioco, che tendono a calare in modo tanto drastico quanto inesorabile.
Siamo quindi giunti ad una nuova era del calcio? Davvero ci toccherà continuare a rimpiangere il passato senza avere alcuna speranza per il futuro? In attesa di avere delle risposte a queste domande da un milione di euro, a noi innamorati del bel gioco non resta da far altro che goderci gli ultimi immortali ancora in attività e far sentire ad alta voce un messaggio molto semplice e diretto: Ridateci il calcio, quello vero; ridateci i numeri 10, quelli autentici. Ammesso che esistano ancora.