Ieri ne ha parlato il nostro Alessandro Lelli, dal punto di vista della partita e dell’Udinese; oggi invece ve ne parliamo dal punto di vista del movimento (una Serie A ai minimi storici), e del giocatore.
Recidivo, tanto per cominciare. Eppure, se l’Udinese ci ha speso oltre cinque milioni, un motivo ci sarà. Sicuramente non ha avuto un battesimo facile. E sicuramente vedremo scatenarsi la caccia all’uomo: come se il colpevole di tutto fosse sempre uno solo. Perché, diciamocelo chiaro: non è solo colpa sua, se l’Udinese non ha sconfitto il Braga; e non è solo colpa sua se l’Italia quest’anno avrà solo due squadre in Champions (come la Russia, faceva notare in redazione il nostro Michael Braga).
E rendiamoci anche conto che, realisticamente, non abbiamo soverchie velleità: la Juventus ha fatto un ottimo mercato, ma pare ancora molto lontana dalle squadre che contano; per tacere di un Milan ai ferri corti: tra allenatore e dirigenza, tanto per cominciare. Non penso, sinceramente, che riusciremo a tirare fuori un buon risultato dall’Europa che conta.
Il coefficiente UEFA parla chiaro: Inghilterra e Spagna in testa, con 84 punti e spiccioli; la Germania a quota 75, si siede sulla terza piazza; noi siamo quarti, con risultati in ripida discesa, un pelo sotto quota 60. E dietro di noi scalpita proprio il Portogallo: 55 punti e la sensazione di un movimento che, a dispetto di tutto, sia in evoluzione, in crescita. Lo stesso Sporting Braga è una signora squadra, costruita su uno stadio fantastico e tanta, davvero tanta programmazione.
Società quotata in Borsa (in un paese in piena crisi), ha cominciato a costruire il proprio successo nel 2008: settima in campionato, ha partipato all’ultima edizione della Coppa Intertoto e l’ha vinta (perché è arrivata fino al terzo posto nella fase a gruppi della Coppa UEFA), in seguito subito eliminata dal Paris Saint-Germain (che non era quello di ora). Qualcuno potrebbe storcere il naso all’idea che l’Intertoto sia stato una cosa importante — invece è proprio così: perché era la prima volta che un altra squadra portoghese vinceva un trofeo internazionale (dove per altra intendo ovviamente una che non sia il Porto, il Benfica o lo Sporting).
Rendiamocene conto adesso, prima che sia troppo tardi: il cammino negli spareggi per la Champions è spesso minato, per le italiane, dalla tardiva partenza del campionato, per me la prima colpevole, prima ancora di Maicosuel; e se anche il ragazzo (che ha 26 anni e certe cose dovrebbe averle capite) ha sbagliato, è pur vero che non si getta mai la croce addosso a qualcuno solo per un rigore. Vi sta simpatico Montolivo? Non fa differenza: ha sbagliato un rigore contro l’Inghilterra, e in un certo senso è grazie a quell’errore che Andrea Pirlo ha dato la riscossa a una squadra che, pur dominando, non era stata capace di vincere la partita. Maicosuel non ha capito che non era il momento di farlo; e Guidolin, più che pensare alle dimissioni, dovrebbe usare l’effetto-phon per cui è celebre Sir Alex Ferguson.
Ultima cosa: il movimento calcistico italiano. Già chiedere a una squadra piccola-ma-grande, e basata principalmente sulla sua capacità di scovare all’estero il talento, per inserirlo in un sistema già rodato — già chiedere a una squadra del genere di salvare il bilancio italiano è davvero troppo. Mi limito quindi, semmai, a chiedere ai bianconeri di prendere l’Europa League come una occasione di crescita e di rilancio verso l’Europa che conta: non vinciamo dal 1999, quando il Parma regolò l’Olympique Marsiglia a Mosca. Molta parte del coefficiente la dovremmo recuperare qui.