Una maglia che non pesa più
Una volta per arrivare in Nazionale dovevi mangiare chili e chili di pane, farti valere per almeno tre o quattro anni nel massimo campionato e segnare gol a raffica nel caso fossi attaccante. Chiedetelo a Dario Hubner, uno che spaccava le porte avversarie in ogni stagione ma non vedeva mai l’azzurro, oppure a Nicola Amoruso, tra i pochi a cui 100 e passa marcature in serie A non sono bastate. Penso pure alla generazione dei Cois, dei Falcone, dei Pierini, quelli che fecero grande la Fiorentina ma non se stessi.
Oggi è diverso, basta una buona stagione in serie B e ti ritrovi catapultato nell’Olimpo del calcio. E così Mattia Perin, 20 anni e ancora tutto da dimostrare, ha la meglio su gente come Sorrentino, ossia uno che da anni si spacca la schiena con eccellenti risultati. Mi direte che Prandelli vuole costruire il futuro e preferisce atleti convocabili per i prossimi dieci anni a chi è già avviato a fine carriera. Il discorso non fa un piega, ma a uscirne svalutato è il senso d’orgoglio che un calciatore dovrebbe provare nel fatidico momento in cui veste quella maglia. Quella maglia è un punto d’arrivo, non uno di partenza. E poi, per fare un discorso puramente tecnico, a volte si potrebbe privilegiare il valore nel breve termine rispetto a quello nel lungo periodo. Sorrentino sarebbe un ottimo terzo portiere anche nei Mondiali del 2014, tanto per dirla.
E De Sciglio? Tre o quattro presenze in serie A, il rischio di sentirsi arrivato quando ancora c’è una montagna da scalare. Gabbiadini è bravissimo, certo, ma non giocava da titolare nemmeno nell’Atalanta. Il nostro ct ha svolto sin qui un lavoro importante e merita fiducia: le sue scelte, probabilmente, saranno giuste ancora una volta. Ma è troppo chiedere di far “pesare” maggiormente un colore che rappresenta una nazione intera?