Ariel Ortega ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato. Il trequartista argentino chiude così la sua carriera nel Belgrano, ultimo club di una storia che lo ha visto passare anche dall’Italia: a Parma e a Genova, sponda Samp, nessuno ha dimenticato quel matto che calciava il pallone come un Dio. Nel suo curriculum, El Burrito vanta anche tre partecipazioni ai mondiali con la maglia albiceleste.
Avrebbe potuto essere un campione ancora più forte, ancora più celebrato, se solo fosse riuscito a sconfiggere un avversario che ormai lo tormenta da una vita intera. Non è un medianaccio di provincia, né un giornalista critico, il suo male è sempre derivato da una sostanza logorante: l’alcool. Ortega lo assumeva sempre, prima gli allenamenti, dopo gli allenamenti, a ridosso di una partita importante. Sarà per questo che in Italia non è durato, perché da noi un atleta non riesce a fare la differenza se intraprende una simile vita. Ma in Argentina, un’altra terra e un altro calcio, questo Masaniello dai piedi dolci vinceva le partite da solo. E i tifosi del River lo idolatravano, facendo passare in secondo piano il problema di un uomo che ancora deve capire se stesso.