Kaka al Milan? I precedenti urlano: ‘Non fatelo’
In queste ore a Milano, tra Via Turati e il Ristorante Giannino, quest’ultima vera sede in orario serale dell’ amministratore delegato del Milan Adriano Galliani, sta prendendo sempre piu’ corpo l’idea di riportare Ricardo Izecson dos Santos Leite, per tutti Kakà, a vestire di rossonero. Lo stile dell’eventuale colpo avrebbe tutte le sembianze del classico movimento di mercato a effetto della società del Presidente Berlusconi, che ha ormai abituato ad affari di questo tipo con colonna sonora romantica in sottofondo per celebrare il ritorno di quello che è stato un beniamino del San Siro. In pochi si scordano il Kakà che in lacrime passa con l’ auto attraverso la folla di tifosi rossoneri che chiedono al loro Campione di non lasciarli per il Manchester City (19 gennaio 2009), e che si lascia convincere da quell’affetto sventolando dalla sua finestra, qualche ora piu’ tardi, la maglia numero 22 rossonera certificando così la sua permanenza, che sarebbe durata fino a fine stagione, quando le lusinghe del Grande Real erano impossibile da duepiccare, sia per il Milan che per il calciatore. Ma soprattutto, nessuno si scorda il Kakà Pallone d’Oro 2007, riconoscimento ad una stagione splendida coronata con il bacio alla Champion’s League nella finale vendetta di Atene contro il Liverpool, e con quello che probabilmente è il principale highlight della storia tra Milan e Kakà, ovvero la semifinale d’andata all’Old Trafford dove il ragazzo col 22 spruzzò calcio da tutti i pori in una serata letteralmente magica.
Ma non è detto che i bei ricordi non debbano restare tali, senza che si provi a forzare l’andamento della storia con un nuovo capitolo della saga. Chariamo, al Milan in questo momento Kakà farebbe obiettivamente comodo, ma il rischio di sbiadire un immagine che è nitidissima negli occhi dei tifosi esiste. Lo dicono i precedenti. Kakà, infatti, sarebbe il terzo giocatore che dopo aver vinto un Pallone d’Oro con la maglia rossonera, torna a vestirla a distanza di qualche anno dopo altre esperienze. Il primo a farlo fu Ruud Gullit, straordinario ed indimenticato idolo di San Siro a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, un numero 10 atipico per quei tempi, dotato di un’eleganza unica, che nell’estate 1993 passò in prestito alla Sampdoria dove segnò 15 gol da centrocampista vincendo una Coppa Italia. Il Milan lo rivolle con sé a fine stagione, ma il rapporto con Mister Capello era ai minimi termini e l’olandese scese in campo solo otto volte fino al ritorno alla Samp nella finestra invernale di mercato in cambio di Alessandro Melli, che in rossonero fu una vera meteora.
L’altro, il piu’ recente, fu Andrij Shevchenko. Tutti lo ricordiamo nel suo primo periodo al Milan, 128 reti in sette magnifiche stagioni, uno scudetto, un pallone d’Oro e due titoli di capocannoniere. Nel 2006 l’ucraino passò al Chelsea alla corte di Abramovich, tra le sofferenze dei tifosi rossoneri che non ci pensarono due volte a riaccoglierlo a braccia aperte dopo due stagioni incolore in Blues. Il bottino dello Sheva parte seonda? Zero gol in ventiquattro presenze, tanta panchina nel finale di stagione e il ritorno a Londra annunciato con due mesi d’anticipo. Non gli toccò neppure la sua maglia numero 7, sulle spalle di Pato, ripiegò per la 76.
Già questi due casi basterebbero a sconsigliare il Milan e Kakà. Possiamo però aggiungere che due tra i tecnici piu’ titolati della storia rossonera, Arrigo Sacchi e Fabio Capello, tornarono al Milan dopo i tantissimi successi della loro prima esperienza in rossonero. Nel 1996 Sacchi si classificò undicesimo, Capello l’anno seguente decimo. Anche in questo caso, i cavalli di ritorno portarono malissimo.
Anche Roberto Donadoni, la grande ala destra in possesso del miglior uno contro uno nella sua epoca, tornò al Milan nel 1997 dopo due anni a New York con gli allora Metrostars. In questo caso l’età dell’ex numero 7 era davvero avanzata, ma il bottino fu comunque pessimo: una ventina di presenze in due stagioni, zero gol e ritorno all’estero. Marco Simone non era quello che oggi si chiamerebbe un top player, ma aveva dato il suo contributo al Milan con 49 reti, partendo spesso dalla panchina, in otto anni. Tornò dopo tre anni, nove presenze, zero reti.
Insomma, la storia parla chiaro, questi sono i numeri. Ma Kakà potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola che chi va via dal Milan e torna non ripete nemmeno un decimo di quanto fatto in precedenza. Anzi no, neanche quella, l’eccezione c’è già, è Cristian Abbiati.