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Pescara: il mercato confusionario e l’enigma Stroppa

Sarà un Pescara totalmente nuovo quello affronterà il massimo campionato dopo ben 19 anni di assenza. Non è facile ricostruire quando perdi un allenatore che da solo vale il tanto decantato progetto e tre gioielli come Verratti, Insigne e Immobile. Il ds Delli Carri si è rimboccato le maniche, sta lavorando come un dannato per plasmare una rosa capace di non sfigurare in serie A.

In riva all’Adriatico si stanno abituando a festeggiare un acquisto al giorno, sottovalutando forse i rischi che una rivoluzione obbligatoriamente comporta. Sono arrivati Celik e Quintero, giovani di belle speranze ma stranieri e inesperti per il nostro calcio. Almeno per il momento. Si fanno i nomi di Rosenberg, di Weiss, elementi conosciuti in campo internazionale ma sulla cui adeguatezza alla realtà pescarese si nutre qualche dubbio. Si caleranno a pieno nella lotta per non retrocedere con stimoli e determinazione? Presto sarà ufficializzato anche un poker tutto italiano: Carrizo, Modesto, Foggia e Terlizzi. Non c’è male, si tratta di uomini esperti e temprati, che per un motivo o per l’altro hanno ancora voglia di dimostrare. Convincono meno Abbruscato, sulla carta un attaccante da serie B, e Giuseppe Colucci, un’incognita dal punto di vista fisico.

Ma veniamo al capitolo più importante: Giovanni Stroppa. Sicuramente non se l’aspettava proprio di avere un’occasione così grossa e quando il Pescara lo ha contattato ha reagito con quell’incoscienza che solo l’euforia sa regalarti. Le titubanze sono però nate presto, già ad inizio ritiro. L’ex Milan si è contraddetto varie volte nella prima conferenza stampa di luglio, denunciando un certo nervosismo per un mercato che ancora non decollava. Non è facile gestire un gruppo privo di qualsiasi credibilità: adesso la situazione si sta normalizzando, ma il Pescara che si è trovato a Rivisondoli non era nient’altro che un cantiere aperto. Metà gente destinata alla cessione e l’altra metà delusa per la forza della squadra. Stroppa ha pagato la sua inesperienza e, anziché fare da motivatore, è stato la prima vittima del malcontento generale.

Non è chiaro neanche quando si addentra in discorsi tattici, parla di schemi troppo ibridi per pensare che possano davvero funzionare. Si è presentato come un allenatore offensivo e adesso, pur dichiarando di volere le tre punte, dice che la priorità sarà data al consolidamento della retroguardia. L’impressione è quella di un tecnico che, per allontanare l’insormontabile fantasma Zeman, sia disposto anche a tradire sé stesso. Ma queste sono solo supposizioni, discorsi estivi che non contano nulla. A dire la verità, come sempre, sarà un giudice infallibile: il campo.